Il nostro sistema politico è entrato di nuovo in una dinamica “rivoluzionaria”. Per fortuna il comitato di salute pubblica presieduto da Mario Monti non induce preoccupazione alcuna. Solo Berlusconi poteva straparlare di “terrore fiscale”. Nessuno intravede ghigliottine dietro la grisaglia e l’understatement del professore. Del resto, Robespierre non ha mai trovato imitatori nel paese dove crescono i limoni. Eppure la vita della nostra repubblica non scorre tranquilla. Siamo in uno stato di flusso, di indeterminatezza, di tensione. Il nostro futuro politico e istituzionale (per non dire di quello economico) è incerto. Così come vent’anni fa. Allora, dopo Mani Pulite, il sistema dei partiti, immobile per quarant’anni con le sue 7 stelle fisse (per i giovani: Msi, Pli, Dc, Psdi, Pri, Psi, Pci), crollò di schianto e ne emerse uno nuovo di zecca. Tanto nuovo da aver fatto parlare di una seconda Repubblica che invece non ha preso forma perché nessuna riforma costituzionale è mai stata approvata. Silvio Berlusconi, insieme all’amico Umberto, incarnò il “nuovo”. In effetti Forza Italia fu un unicum nel panorama europeo. Un partito senza iscritti, proprietà personale del fondatore, telecomandato dagli studi televisivi, retto da un nucleo di dipendenti aziendali.
Quella novità si è consunta con gli anni, come lo stesso Cavaliere arrivato a fine corsa con una maschera da Petrolini tragico. E con lui si sfaldano gli altri partiti. Il logoramento è sistemico, con la sola eccezione, forse, del Pd (sante primarie!) perché dopo vent’anni si è chiuso un ciclo. Potrà sembrare paradossale, ma il ciclo che arriva al capolinea è quello dell’antipolitica, iniettata a dosi mortali nel corpo politico nazionale proprio da Berlusconi e dal forzaleghismo di complemento. Chi ha parlato per anni di “teatrino della politica” o chi ha definito Roma una “ladrona” se non i campioni del centro- destra? Dall’altra parte, il centro- sinistra non è stato in grado di reggere e rispondere a quella visione. Non ha messo in campo nulla di altrettanto forte e coinvolgente sulla dignità e bellezza della politica. Solo i movimenti hanno fornito spinte vitali ma è nella loro natura accendersi e spegnersi. Il movimento della pace con tutte quelle bandiere appese alle finestre, una delle più diffuse espressioni di partecipazione politica della nostra storia repubblicana, oppure i girotondi, o ancora la mobilitazione femminista del “se non ora quando” sono state le sole risposte politiche al dilagare della disaffezione, dell’apatia, del disgusto. Con un crescendo rossiniano la lontananza dalla politica, sollecitata in maniera subliminale dal presidente operaio e imprenditore, operoso e libertino — ghe pensi mi, non preoccupatevi, divertitevi come faccio io tra calciatori e veline — si è trasformata in rabbia. La crisi economica ha fatto da acceleratore all’ostilità fomentata da una classe politica in gran parte autoreferenziale, inetta e corrotta. Da quanto tempo fosse in incubazione questo sentimento lo dimostra l’irruzione spettacolare di Beppe Grillo cinque anni fa, con quei “vaffa-day” che riempirono le piazze, a incominciare da quella di Bologna, tradizionalmente la più partecipativa e politicizzata. Grillo esprime,
dà sfogo, incanala questo rancore o lo alimenta? L’uno e l’altro. Ma rispetto a Berlusconi, l’antipolitico per antonomasia, Grillo non è emerso all’improvviso, calato dall’alto degli studi televisivi. Il suo blog è attivo da anni ed è uno dei più visitati al mondo. Non si occupa di interessi settoriali o di categoria mentre il Cavaliere si voleva rappresentante del mondo aziendale e delle partite Iva. Grillo affronta(va) temi specifici ma di portata generale, dai diritti degli azionisti al riscaldamento globale. E soprattutto schiuma di rabbia contro i partiti, le istituzioni, il sistema. È un mugugno incattivito ed elevato al cubo. Che rappresenta senza mediazioni quanto ribolle nella società. Attraverso la (sua) rete arriva in superficie quanto è stato alimentato per un ventennio dal berlusconismo. Grillo ora si muove su un crinale: può alimentare un disprezzo devastante nei confronti della politica tout court scadendo nel populismo (e certe sue tirate contro l’Unione Europea vanno in questo senso) o convogliare la domanda di una politica migliore, più rispondente e più pulita attraverso buone pratiche istituzionali, come già fanno molti suoi rappresentanti locali. Di fronte ad una ondata di “consenso disperato” che forse lo stesso Grillo non sa più come gestire, l’unico argine viene dal Pd e dalle sue primarie che costituiscono il solo momento aperto, partecipativo, di base in cui la politica risuona con accenti veri, nonostante l’eccessiva mediasettizazione di Renzi. Per questo, il partito di Bersani ha sulle sue spalle una responsabilità sistemica.
La Repubblica 07.11.12
Pubblicato il 7 Novembre 2012