Dalla Sicilia arriva un bastimento carico di messaggi. Bisogna leggerli con attenzione per trarne le indicazioni giuste e per cogliere, oltre alle incognite, anche le possibilità che si aprono per evitare che l’Italia diventi un «clone greco». La vittoria (anche se di misura) di Rosario Crocetta è un fat- to straordinario e ci dice due cose. La prima: scegliendo le persone giuste e le alleanze adeguate si possono combatte- re anche battaglie che sembrano impossibili.
Se una regione, dove la mafia è ancora un osso duro, ha il coraggio di affidarsi a un uomo che ha fatto della guerra contro i boss il centro della sua storia politica, vuol dire che ci sono, anche nelle zone più a rischio, gli anticorpi per resistere al declino. La seconda: il centrodestra perde pezzi consistenti del suo blocco sociale che aveva, proprio nell’isola, la sua cassaforte principale e non riesce più a contenere uno smottamento ormai catastrofico. Queste tendenze – che, diciamo la verità, erano abbastanza imprevedibili nella loro effettiva dimensione – possono favorire nuovi scenari. C’è una possibilità, da coltivare con coraggiosa ostinazione, che l’Italia riprenda il cammino, scansi gli scogli della frammentazione e dell’assuefazione e ricostruisca una normalità politica e sociale che le manca da almeno un ventennio. In Sicilia un’alleanza tra progressisti e moderati ha avuto già il suo effetto: Crocetta è governatore grazie al patto tra il Pd di Bersani e l’Udc di Casini. Tutti e due hanno avuto il coraggio di rompere vecchi schemi, di superare antiche divisioni e di uscire dal groviglio di questioni locali che spesso legano le mani e rendono complicate anche le soluzioni più semplici. Si era scritto, prima che chiudessero le urne, che il voto siciliano avrebbe avuto un rilievo nazionale e che su quel risultato si sarebbe messa alla prova anche la consistenza del rapporto tra il Pd e le forze di centro. Il segnale che arriva è positivo. C’è però un anello mancante: la scelta di Sel di chiudersi nel recinto di un patto minoritario con l’Idv, andando in controtendenza rispetto alle scelte compiute a Roma, ha privato l’alleanza per Crocetta di un pezzo importante e non gli ha consentito, con tutta probabilità, di avere una maggioranza autosufficiente. È il segno che il settarismo un po’ movimentista non crea consenso, ma lascia a Grillo più spazio di quanto già non ne abbia.
La questione che ora si apre è questa: è possibile costruire un ponte che colleghi politicamente il Pd e Sel con l’Udc? Che consenta di costruire un’alleanza di governo forte e affidabile? Non possiamo nasconderci i problemi che rendono non facile questa impresa: sia da parte di Casini che di Vendola, anche se oggi con toni meno ultimativi di una settimana fa, restano dissidi non di poco conto. E il giudizio su Monti è uno dei temi di divisione: per l’uno un’esperienza da valorizzare, per l’altro da dimenticare. Ma non c’è dubbio che il voto siciliano, con le speranze che accende, può aiutare a superare queste divaricazioni perché illumina la scena dell’Italia. Il pericolo che dal voto del 2013 esca un Paese ancor più frammentato, con un astensionismo preoccupante e Grillo in avanzata, è forte. La possibilità che si piombi in una situazione di ingovernabilità è alta, con il rischio che l’eccezione dei tecnici diventi una drammatica normalità. È come se fossimo davanti a un bivio: lasciare che le cose vadano inesorabilmente nella direzione sbagliata o mettersi in gioco per dare agli italiani la possibilità di voltare pagina.
Per scrivere una nuova storia, in certi momenti, c’è bisogno dell’ottimismo della volontà. Ma anche di una carica di innovazione politica e programmatica che sappia riattivare quella connessione sentimentale con il popolo che rende autorevole un partito o una coalizione di governo e che sia in grado di ricostruire quello spirito di comunità che negli anni del berlusconismo è stato frantumato. Le basi per discutere ci sono: la carta di intenti, che tutti i candidati alle primarie del centrosinistra hanno firmato, è già una traccia significativa sulla quale non è difficile immaginare un confronto proficuo con le forze di centro. Ora però, come ha fatto il Pd aprendosi alle primarie, anche i moderati devono accettare la sfida dell’innovazione presentando agli italiani una nuova offerta politica utile alla ricostruzione del Paese. Questo è un tempo difficile. Ed è un tempo che ha bisogno di uomini che costruiscano ponti piuttosto che recinti, che curino l’interesse generale piuttosto che l’orgoglio di partito. D’altra parte, un leader si vede dal coraggio.
L’Unità 31.10.12
Pubblicato il 31 Ottobre 2012