attualità, politica italiana

"La mafia sulla riva del fiume", Mario Lavia

Stavolta Cosa Nostra non ha puntato forte. Almeno, non sembra. Vince un simbolo dell’antimafia, Crocetta, ma vince nel deserto delle emozioni e vince in un panorama politicamente terremotato. La mafia, forse, ha preferito stare a guardare lo sfacelo. O forse – ci dice Nando Dalla Chiesa – «si è divisa». Cosa nostra divisa davanti una tornata elettorale: sarebbe la prima volta, o quasi (nel 1987 a Palermo ci fu una clamorosa “scissione” fra i voti alla Dc e quelli al Psi). «Può benissimo darsi che la mafia si sia frazionata fra diverse opzioni – spiega Dalla Chiesa – e che ogni spezzone abbia deciso di trattare separatamente con diversi referenti. Teniamo presente che probabilmente oggi non c’è neppure una gerarchia ordinata, non c’è una centrale, non c’è la “cupola” di una volta». Anche per i colpi ricevuti, effettivamente è difficile individuare il Totò Riina di oggi, se esiste. Ed è ormai assodato che le centrali siano altrove, non solo a Palermo e in Sicilia, e che proprio la ramificazione della criminalità organizzata escluda il tradizionale appoggio a questa o quella forza politica. Una mafia più “tentacolare”, e più “gelatinosa” non punta su un partito solo. Anzi, forse non punta proprio più sulla politica. «Magari oggi la mafia pensa di saltare il rapporto con una politica messa così male – sostiene Dalla Chiesa – senza tenere conto che anche per lei i tradizionali schemi sono saltati: l’Udc dall’altra parte, la destra che si divide…».
Sarà pure un’ipotesi suggestiva ma non si può del tutto escludere che persino la mafia sia – come dire? – disorientata. Di fronte a un sistema politico, nazionale e regionale, frammentato e debolissimo, Cosa nostra può aver deciso che gli affari è meglio farseli in proprio, saltando la mediazione e la complicità della politica: niente più anticamere dall’assessore di turno, si va a trattare coi potentati economici direttamente, ai politici al massimo si fa una telefonata, tanto sono loro ad aver bisogno di appoggi, non viceversa. In una regione dove la metà degli elettori non va a votare, la mafia nemmeno partecipa alla battaglia politica. «Non lo so, io penso che alla fine la mafia vota, sempre», si limita a commentare Enzo Ciconte, uno dei massimi esperti di storia della criminalità organizzata. Il che peraltro non esclude che persino gli ambienti criminali siano in qualche modo risucchiati nel gorgo del rifiuto della politica, e comunque che nell’incertezza sul partito vincente abbia preferito saltare un giro. Grillo? No, caso mai il M5S intercetta voti di chi è stanco di forza politiche incapaci di fronteggiare la crisi economica e vissute come rubasoldi a scapito della gente comune. Non è lì che la mafia ha puntato le sue fiches.
Lontanissimi i tempi non solo del massiccio appoggio alla Democrazia cristiana ma anche del famoso 61 a zero, la scelta di Forza Italia come cavallo di troia per coprire interessi opachi, oggi Cosa nostra appare ferma sulla sponda del fiume, guardando quel che resta di una politica sul punto di colare a picco.
da Europa Quotidiano 30.10.12