Dopo la condanna nel processo Mediaset, Berlusconi torna in campo. E dà inizio a un’altra partita. Chiarisce che non si candiderà a premier ma, per evitare equivoci, ammonisce anche che valuterà se ritirare l’appoggio al governo Monti. Se dall’estero guardano increduli alle vicende italiane, non c’è da stupirsi. Nei Paesi a democrazia avanzata chi subisce una condanna soprattutto per un reato grave esce dalla scena politica e non rivendica un ritorno da protagonista. In Italia inspiegabilmente, invece, accade il contrario. E certi fatti ci allontanano dal centro dell’Europa più dello spread e del debito pubblico. A febbraio di quest’anno, per esempio, il ministro inglese Chris Huhne responsabile del dicastero dell’ Energia si è dimesso perché accusato di aver mentito su chi era alla guida della sua automobile, multata per eccesso di velocità. Il comportamento di Huhne, suscita, inevitabilmente, un’umana simpatia. E anche un po’ d’invidia per quanto avviene oltremanica. Tutt’altra cosa rispetto a quanto accade in Italia, dove il sentimento prevalente è la rabbia, l’indignazione e la sfiducia. Se anche avesse un fondamento la “magistratocrazia” che Berlusconi denuncia e l’accanimento giudiziario nei suoi confronti, le parole dell’ex premier, nei modi e nei toni, tolgono ogni potenziale valenza politica a quanto afferma e sembrano più una difesa estrema rispetto alle vicende che lo vedono coinvolto. Anche perché, se la giustizia fosse realmente uno strumento di lotta politica, come sostiene Berlusconi, sarebbe una condizione mortale per la democrazia. Ma allo stesso modo non ci sarebbe democrazia se la politica fosse usata contro il potere giudiziario. Significa che ogni confine sarebbe dissolto, che i poteri prevaricherebbero gli uni sugli altri, ben oltre i limiti costituzionali, senza alcun equilibrio e senza alcun controllo. Le parole di Berlusconi fanno riflettere, perché o è vero che c’è stata, in questi anni, la prevaricazione del potere giudiziario su quello politico, oppure è vero il contrario. In entrambi i casi significa che l’Italia non è una democrazia compiuta. E questo è troppo, anche per un Paese che si è progressivamente assuefatto, negli ultimi anni, a comportamenti impropri, insulti, vilipendi, volgarità e inciviltà di ogni tipo.
Il governo Monti annunciava una stagione nuova. Una svolta nello stile prima ancora che nelle scelte politiche. Le parole di Berlusconi spostano indietro le lancette dell’orologio e avvolgono il Paese in una nebbia impalpabile di sospetti e domande che difficilmente potranno trovare risposte. Un’atmosfera che corrode gli argini dove scorre la democrazia, avvelena le falde da cui si alimenta la politica, inquina l’aria della convivenza civile. È in quest’ambiente rarefatto di etica, dove tutto somiglia al suo contrario, che hanno preso forma stili di vita improbabili e comportamenti impensabili in un Paese democratico. Come quelli che hanno visto protagonisti alcuni personaggi politici, accusati non di corruzione o di aver accettato tangenti, ma di aver usato in modo improprio soldi e potere, di aver badato soprattutto ai propri interessi personali, di aver abusato del proprio ruolo e del proprio mandato. Non stupisce se al posto della politica ci sono ostriche e champagne, auto di lusso, feste e vacanze. Se la prima Repubblica si era chiusa con Tangentopoli, la seconda ha il suo tragico epilogo in “arraffopoli”. Un sistema di malcostume irritante, che si è diffuso nell’atmosfera, più che nelle circostanze penalmente rilevanti. Non è un caso che la percezione negativa della politica sia peggiore della realtà. Secondo uno studio effettuato per il Ministro della Pubblica Amministrazione, l’Italia è agli ultimi posti nel mondo in quanto a corruzione percepita, al pari del Ghana e della Macedonia. In Europa è superata soltanto dalla Grecia. È inevitabile che sia così. Se i comportamenti di alcuni politici nulla hanno a che fare con il bene comune, se s’inquina l’atmosfera di ogni genere di sospetto, come possono i cittadini avere la sensazione che la politica si occupa di loro? Con le sue parole Berlusconi traccia una linea che sposta i termini del confronto politico che stava faticosamente maturando nel nostro Paese, riportandolo esclusivamente su di sé. L’Italia ha bisogno di diventare un Paese normale, dove si confrontano posizioni politiche diverse. In questo momento per l’opinione pubblica esiste un solo campo politico definito chiaramente: quello del centrosinistra. Il resto è un cantiere, dove confluiscono una moltitudine di progetti e propositi, senza che sia evidente un percorso o un filo conduttore che risponda ai bisogni del Paese.Che in campo ci sia solo il centrosinistra si capisce chiaramente nel momento in cui le differenze politiche tra i partiti risultano più chiare rispetto al passato e su tutti i temi, che costituiscono l’agenda politica del Paese, il centrosinistra risulta più convincente: da quelli sociali a quelli ambientali, da quelli che riguardano lo sviluppo economico alle politiche per il lavoro. Persino rispetto a tematiche dove il centrodestra era tradizionalmente più forte, come quello delle tasse, della sicurezza e del contrasto all’immigrazione clandestina, il centrosinistra ispira più fiducia, raccoglie più consensi, più attenzioni. Più che dalle intenzioni di voto è da questi indicatori che si può comprendere il punto di ricaduta dell’attuale situazione politica. Il centrosinistra è in vantaggio nei consensi perché lo è soprattutto sugli aspetti che riguardano il futuro del Paese. Anche perché, nel campo opposto, non c’è alcuna proposta, niente da mettere in campo che prefiguri una visione alternativa. L’ipotesi di un Monti-bis o di un nuovo governo tecnico dopo le elezioni politiche, in condizioni normali, sarebbe tramontata prima ancora di prendere corpo se il confronto politico si limitasse alle proposte di governo.
Ma il ritorno di Berlusconi traccia una linea che cambia gli equilibri e i baricentri dei partiti, proprio mentre era in corso un percorso di ricostruzione del centrodestra e di un’area moderata di centro. Il rischio adesso è di un nuovo inasprimento della competizione su piani che non costituiscono proposte politiche, ma che ruotano ancora intorno alla figura di Silvio Berlusconi. Mentre la drammaticità della crisi, il suo inasprimento in termini economici e sociali, richiederebbe un governo forte politicamente, che abbia idee e programmi alternativi da offrire ai cittadini. Perché in gioco c’è il futuro del Paese e la tecnica dei professori da sola non può bastare a vincere le sfide che l’Italia ha davanti. Ci sarebbe bisogno di un centrosinistra e di un centrodestra che si misurano sulle cose da fare, come avviene nel resto d’Europa, mentre ancora una volta l’appuntamento elettorale rischia di non riuscire a liberarsi dai fantasmi del passato e dall’incertezza di un futuro che torna ad avvitarsi su se stesso.
L’Unità 29.10.12
Pubblicato il 29 Ottobre 2012