Dichiarazione di voto sulla fiducia al governo Berlusconi. Intervento del segretario del Partito Democratico Walter Veltroni
«Piero Calamandrei, uno dei padri fondatori della nostra Costituzione, scrisse che «il regime parlamentare non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza», e aggiungeva: «quest’ultima, a sua volta, deve avere rispetto per la legittimità elettorale della maggioranza e la legittimità costituzionale del Governo».
Il diritto dell’opposizione e il rispetto della legittimità della maggioranza sono l’anima di una democrazia che funzioni. Questo Parlamento, nel Novecento, ha conosciuto tragicamente un tempo in cui veniva negato il diritto di opporsi. Da allora, al prezzo di sacrifici e di dolore, il nostro Paese ha fatto davvero molta strada e in questi mesi credo abbia accelerato la sua corsa verso la possibilità di essere una salda e ben funzionante democrazia europea.
Rivendico al Partito Democratico il merito di aver introdotto ragioni profonde di discontinuità, rispetto ad un Paese che soffriva di una duplice e grave malattia: l’esasperata frammentazione politica e la costante demonizzazione dell’avversario. All’onorevole Casini, che ha detto cose condivisibili da questo punto di vista, voglio dire che è vero: abbiamo fatto politicamente ciò che, attraverso le riforme istituzionali e la legge elettorale, non siete riusciti a fare.
Se oggi questo Parlamento vede sei gruppi, come nel resto d’Europa, e non più i quattordici dell’ultima legislatura, e non più i trentanove partiti ai quali ha fatto riferimento ieri l’onorevole Fassino, se sono finite le coalizioni assembleari messe insieme solo dalla contrapposizione nei confronti dell’avversario, ciò – lo hanno riconosciuto tutti – è perché il Partito Democratico ha avuto per primo il coraggio di compiere scelte difficili e innovative.
Lei, signor Presidente del Consiglio dei ministri, inizia oggi il suo quarto mandato e il suo settimo anno da Presidente del Consiglio dei ministri. È evidente ed oggettivo che lei porti una parte importante di responsabilità per ciò che è avvenuto o non è avvenuto in questo Paese. Da quindici anni, i Governi in Italia durano al massimo una legislatura e un clima permanente di scontro ideologico ha impedito che si potesse generare quella stagione lunga di riformismo e di modernizzazione di cui l’Italia ha bisogno e che altri Paesi hanno conosciuto.
Questo Governo ha una maggioranza parlamentare forte, come è già successo tra il 2001 e il 2006. Tuttavia, ciò non impedì che in quel tempo vi fossero ventiquattro ministri sostituiti, un centinaio di volte in cui il Governo «andò sotto» nelle aule parlamentari e una crisi di Governo a metà mandato. Infatti, conta la forza parlamentare, ma conta di più la forza politica, l’esistenza di un disegno alto e forte di Governo e di cambiamento del Paese. Non ho trovato questo disegno nel suo, pur positivo, discorso di ieri.
Il dato elettorale è chiaro ed ho voluto dargliene atto con un gesto – il riconoscimento della vittoria dell’avversario – che non è usuale nella vita politica italiana. Tuttavia, alla responsabilità degli sconfitti si deve accompagnare l’equilibrio dei vincitori. Non pensate di avere «il Paese in mano», come qualcuno ha detto. Cito un solo dato, non oppugnabile: avete avuto 17 milioni di voti, pari al 46,8 per cento, ma non hanno votato per voi (hanno votato per altro) 19 milioni e mezzo di italiani, pari al 53,2 per cento. Credo nasca dalla consapevolezza di questo elementare dato, la decisione da parte sua di usare, come ha fatto ieri, toni assolutamente diversi dal passato.
Chi vuole male all’Italia può lamentarsene, mosso dalla voglia di proseguire in un clima di scontro frontale che ha fatto male al nostro Paese per molti anni. Tuttavia, una cosa dev’essere chiara, signor Presidente del Consiglio dei ministri: le parole dette e quelle non dette contano, ma per essere sinceri rischia di essere troppo facile, quando si è all’opposizione o in campagna elettorale, usare toni esasperati e poi, quando si è al Governo, sollecitare il dialogo e il confronto. Tuttavia, prendo per buone le sue parole, pronunciate davanti agli italiani, e le ribadisco che mai si potrà aspettare da noi un’opposizione come quella che, nella scorsa legislatura, sventolava striscioni e brindava nelle aule parlamentari.
Conoscerà un’opposizione seria, forte e responsabile: l’opposizione di una forza democratica alternativa; un’opposizione che avanzerà proposte, fisserà una propria agenda di priorità, convergerà quando sarà d’accordo e si opporrà quando non lo sarà; un’opposizione democratica che avrà nel Governo ombra una struttura fondamentale di iniziativa e di proposta; l’opposizione democratica di un Paese unito; quell’unità che il Presidente della Repubblica Napolitano ha più volte indicato come necessità della vita nazionale.
L’opposizione è costituita in questo Parlamento da diverse forze con le quale ci proponiamo un cammino di dialogo e di convergenza. Voglio dire a noi tutti che dobbiamo abituarci anche ad ascoltare parole e opinioni che non condividiamo, ma ad ascoltarle con il rispetto che si deve a ciascuno in un’aula parlamentare – lo dico a proposito dell’intervento dell’onorevole Di Pietro. Ma ci sono anche forze di opposizione presenti nel Paese ma non in Parlamento, la cui voce è interesse comune: non smettano di dialogare e di pesare nella vita istituzionale e politica.
L’Italia deve voltare pagina e ciascuno di noi in ragione del proprio ruolo deve dare il proprio contributo. Voglio raccogliere il suo invito, signor Presidente, e ribadire qui il nostro intento da subito di approvare misure che diano velocità e trasparenza alla macchina decisionale dello Stato: la riduzione del numero dei parlamentari, l’idea di una Camera legislativa e una delle regioni, una forte riduzione dei costi della politica e più ampie e necessarie garanzie di autonomia e libertà di informazione, a partire della necessaria indipendenza del servizio pubblico televisivo. È qui che vedremo subito se il dialogo sarà vero e genererà decisioni condivise. C’è il pacchetto di proposte già esaminate dalla Commissione presieduta nella scorsa legislatura dall’onorevole Luciano Violante dal quale siamo pronti a ripartire. Allo stesso modo la invitiamo a portare subito in Parlamento la ratifica del Trattato di Lisbona, che costituisce un atto fondamentale per ogni Stato europeo che abbia a cuore il destino sociale e istituzionale dell’Unione.
Ma la vera sfida tra noi sarà sui grandi temi sociali. Questo Paese ha bisogno di un grande cambiamento. Esso è divorato dall’ansia, dall’insicurezza, dalla paura: sono certo ottimi materiali sui quali si può – e lo si è fatto – costruire l’edificio di una vittoria elettorale.
Diceva Roosevelt nel 1929: «L’unica cosa di cui dobbiamo aver paura, è la paura stessa». Ci vuole poco a dire che si cancelleranno tutte le tasse, si espelleranno tutti gli immigrati, si garantirà la sicurezza di tutti, così come è facile – certi ideologismi di destra e di sinistra lo fanno sistematicamente – affermare che sia giusta ogni innovazione, purché sia lontana da sé.
L’ideologia del guscio, l’illusione che il mio luogo sia al riparo e possa astrarsi dal luogo di tutti, l’illusione che la mia vita sia separabile da quella degli altri, l’idea in sostanza di una società socialmente egoista con il fiato corto, convinta che la soluzione di ogni problema sia la sua semplice rimozione alla vista: il tema della sicurezza parla di questo, signor Presidente.
Gli immigrati che lavorano costituiscono il 6 per cento (qualcuno sostiene di più) del prodotto interno lordo del nostro Paese. L’economia e la società italiana hanno bisogno di loro; sono persone che fuggono dalla miseria, non diverse dagli italiani che attraversarono il mondo con la valigia di cartone in mano. Dobbiamo accogliere chi vuole venire a lavorare e rendere più facile che ciò accada. Lo ha detto ieri Giuseppe Pisanu: «L’unica strategia efficace di lotta all’immigrazione clandestina è l’uso intelligente dell’immigrazione regolare» (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Dobbiamo essere assolutamente severi contro ogni forma di criminalità; dobbiamo espellere senza riserve chi mostra pericolosità sociale; dobbiamo far scontare le pene a chi ha violato la sicurezza di un cittadino innocente, in primo luogo con severità a chi distrugge la vita di un bambino o a chi considera il corpo di una donna come oggetto di propria proprietà. Ma attenzione alla caccia all’immigrato, attenzione alle ronde, attenzione alla logica che ai più forti sia consentito stabilire se ci si possa rifiutare o meno di offrire una sigaretta o di portare i capelli in un certo modo.
Chi come me è convinto della giustezza del «pacchetto sicurezza» presentato dal Governo Prodi e dal Ministro Amato nella scorsa legislatura ed è convinto – e lo ha detto – che il vecchio centrosinistra abbia compiuto un errore enorme a non approvarlo, sottovalutando il diritto di ogni cittadino a vivere tranquillo, chi come me pensa questo sente però bisogno che non si smarriscano mai quei valori di inclusione, di attenzione a chi vive nel disagio, di coscienza dei diritti che sono parte della nostra stessa identità di cittadini europei.
L’Italia vive con ansia e con una crescente insicurezza questo tempo nuovo e difficile in cui emergono con sempre maggiore evidenza i segni di nuove difficoltà e di autentiche nuove povertà.
Il salario medio lordo italiano è il ventitreesimo dei Paesi OCSE e cresce la differenza con le altre nazioni. Più di ottocentomila persone lavorano in condizioni precarie con meno di ottomila euro all’anno; sei milioni e mezzo di pensionati percepiscono 550 euro al mese e tre milioni sono tra gli 800 e i 1.200 euro.
Nel 2006, secondo l’ISTAT, alla fine del suo mandato pieno, gli individui poveri erano quasi otto milioni e più di una famiglia su dieci oggi vive al di sotto della soglia di povertà. Quasi la metà della nostra popolazione in età adulta ha la licenza di scuola media inferiore.
L’Italia è un grande Paese, ma ha grandissimi problemi. La cultura dei «no», i vizi ideologici hanno impedito l’innovazione infrastrutturale e tecnologica e tanti conservatorismi di destra e di sinistra hanno frenato la costruzione di mercati aperti, di liberalizzazioni, di nuove competitività, di valorizzazione del merito e del talento, di nuove frontiere di equità sociale, di nuove scelte ambientali.
L’Italia deve ripartire e deve farlo in un contesto internazionale molto difficile, figlio di una globalizzazione non governata e di uno squilibrio ormai insopportabile, nei singoli Paesi e nel mondo, tra chi ha e chi non ha e oggi anche tra chi produce e chi consuma e tra chi rispetta i diritti dei lavoratori e chi non lo fa.
Romano Prodi, come nel 1996, ha avuto, ancora una volta, il merito di risanare la situazione finanziaria del Paese ed io voglio, ancora una volta, dargliene atto, in quest’aula, oggi. Lo dice la rimozione della procedura di infrazione europea e lo dicono i dati, confermati da Bankitalia, di una forte capacità di contrastare l’evasione fiscale incrementando le entrate; lo dice la riduzione del debito e quella del deficit, come ricordato ieri da Pier Luigi Bersani.
Al suo Governo – e concludo – spetta ora l’onere di dimostrare ciò che ha sostenuto in campagna elettorale: che è possibile ridurre – come noi auspichiamo e sosterremo – la pressione fiscale e garantire misure – come noi auspichiamo e sosterremo – per aiutare gli stipendi, i salari e le pensioni più basse che sono la vera urgenza di questo Paese.
C’è solo un modo per liberare risorse: continuare la lotta all’evasione, ridurre la spesa pubblica, semplificare questo Paese lento e con ancora elevati gradi di corruzione della vita pubblica e di influenza dei poteri criminali. È il riformismo moderno, almeno come noi lo intendiamo: non possiamo e non dobbiamo chiedere a lei di assolvere questo compito.
Voteremo contro il suo Governo, ma convergeremo su ogni scelta che vada nella direzione giusta: quella di un’Italia più equa, più moderna e più sicura.
L’opposizione la si fa pensando agli interessi profondi del Paese, pensando al futuro dei nostri ragazzi, alla fatica ed al talento di chi lavora ed intraprende, ai timori dei nostri anziani. La si fa mossi non dalla volontà di mostrare i muscoli, ma di mostrare l’intelligenza ed il senso di responsabilità.
L’Italia giudicherà, nei prossimi mesi, chi avrà assolto al compito che qui ha preso. Noi, per parte nostra, lo faremo da forza alternativa, con coraggio, apertura e convinzione.»
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