attualità, politica italiana

"I titoli di coda di un film finito", di Michele Prospero

La condanna alla fine è arrivata, ed è molto pesante. Ma non si dica che a porre termine alla controversa carriera politica di Berlusconi sono stati i giudici con un perverso accanimento su un potente in disgrazia. La infelice epoca del caimano si era conclusa da tempo e con ben impressi i segni inequivoci di un fallimento, completo e senza appelli. Il fiasco dell’imprenditore che giocava a fare lo statista sulla pelle del Paese è stato clamoroso.
Al punto che la sentenza penale rischia persino di attutire il senso storico della amara vicenda. La condanna dei giudici potrebbero oggi fare da velo al necessario bilancio critico da trarre a proposito della regressiva contaminazione di pubblico e privato, Stato e azienda che è la ragione non ultima del declino economico, sociale e culturale dell’Italia.
Poiché in giro ci sono già altri imprenditori che scalpitano per ripetere le poco eroiche gesta del Cavaliere, esibendo magari una fedina penale immacolata, occorrerebbe scolpire nelle drammatiche cronache di queste ore la reale portata storica della comparsa e del declino di Berlusconi: un imprenditore che conquista il potere conduce ben presto alla rovina ogni indice di rendimento istituzionale perché nella sua condotta difetta strutturalmente di ogni orizzonte statuale. Un uomo d’affari che con un partito neopatrimoniale prende in appalto lo Stato azzera ogni differenziazione funzionale tra diritto e interessi, tra politica e affari, tra burocrazia e speculazione, tra informazioni riservate e calcoli redditizi.
L’uscita di scena del Cavaliere ha un significato paradigmatico perché recita il de te fabula narratur per ogni pretesa, che di nuovo pare affiorare nelle menti calcolatrici di altri grandi capitalisti, di ripetere anche loro l’ebbrezza di una lista personale, con dentro esponenti di spicco raccolti nella trama della società civile, per prendere in mano le leve del comando politico in modo tale da gestire l’amministrazione in nome di una terza Repubblica che realizzi il liberismo preso sul serio. Il tempo di imprenditori prestati alla politica ha già procurato immani danni, riciclare il formato del continuum governo-affari con nuovi personaggi e interpreti sarebbe semplicemente un accanimento diabolico.
Cosa combinerà adesso Berlusconi? La nota dell’altro giorno, in cui annunciava di non ricandidarsi, abbozzava un ritiro pacato usando all’occorrenza il tono dello statista distaccato. Ora sta già riaffiorando il Berlusconi più consueto, quello che minaccia fuoco e tempesta, che giura, spergiura e fa la vittima. Gli sono certo rimasti in mano denaro e media che non sono poca roba ma, spiegava Machiavelli, le «fortezze» da sole non bastano al politico. Il Cavaliere ha perso in modo irreparabile il consenso e quindi tutte le «fortezze» che gli restano in possesso non assicurano la possibilità della resistenza e devono essere poste al servizio di altri capi. E qui il discorso si complica. Che Berlusconi possa essere affascinato per motivi esclusivamente politici al prolungamento nel tempo della sua creatura è da escludere in maniera categorica. Un soggetto politico che si presenti davvero con una vita e una cultura autonoma non lo attraggono proprio. Se non servono per sostenere le sue particolari esigenze (aziendali, giudiziarie) le organizzazioni politiche non lo riguardano da vicino.
Anche nel suo abbandono dello scettro Berlusconi ha confermato un antico atteggiamento proprietario. Ha indicato lui la data, lo strumento, il gioco. Il partito, il suo statuto non hanno alcun significato vincolante. Sapendo assai bene che i suoi mitici sondaggi lo davano da tempo per spacciato, il Cavaliere tenta di preservare comunque una pattuglia di fedeli. Se avesse avuto un disegno politico di un qualche spessore, avrebbe approfittato di questo fase lunga di tregua per disegnare su altre basi un assetto bipolare, in grado di garantire alla sua destra smarrita una capacità di sopravvivenza. Dinanzi ai segnali lampanti di smottamento del sistema, qualsiasi politico con un minimo di capacità di previsione dei comportamenti avrebbe affrontato di petto la situazione e cercato in fretta un possibile punto di appoggio nella modifica della legge elettorale. Solo il doppio turno avrebbe assicurato alla destra un briciolo di futuro per proporsi come altro polo rispetto a quello raccolto dalla sinistra.
Nella certezza della inevitabile sconfitta, il congegno alla francese avrebbe comunque garantito ai suoi colonnelli di presidiare lo spazio politico di destra che ora è in via di frantumazione ed espugnato con una facilità imbarazzante dalle ondate di antipolitica guidate dal comico. Berlusconi non è stato in grado di gestire la ritirata, perché non ha una visione politica che lo proietti oltre il marketing.
Continua però ad esserci in Italia una destra profonda, che è ancorata a stati d’animo e a interessi forti. Le grandi manovre per nuove liste, per la regia di nuovi imprenditori che ipotizzano l’apertura di un comodo territorio di caccia sembrano avere un difetto di realismo. Il consenso che nel ventennio ha circondato Berlusconi, e che ora si disgrega in fretta avvolto nella disperazione, non è destinato nell’immediato ad affluire verso i lidi di una destra moderata e con in dote le credenziali della responsabilità nella cultura di governo.
Nemmeno il centro ha le corde, il ceto politico e le idee per raccogliere un esercito rimasto orfano del capo e fornire una nuova leadership dopo quella carismatico-populista. La riorganizzazione di un soggetto politico della destra abbraccia un interesse sistemico più generale, in quanto non può sussistere ad oltranza un quadro istituzionale precario in cui solo la sinistra vanta insediamento e strutture. Il sospetto è però che dal partito azienda non uscirà mai un partito politico e che pertanto l’assenza di un credibile competitore nel versante di destra lascerà a lungo spazio a dei fenomeni contagiosi di nomadismo, disarticolazione, antipolitica. Quale che sia la loro collocazione parlamentare, sui progressisti e sull’area moderata-costituzionale ricade il compito di garantire l’agibilità democratica del sistema. Che in questo clima surriscaldato si possa sopravvivere così sino ad aprile è davvero una grossa incognita. Il sistema potrebbe non reggere più. Di solito si concede all’avversario il tempo minimo per riorganizzarsi. Ma qui c’è il vuoto assoluto, come si stringono patti con i fantasmi?
L’Unità 27.10.12