Arrivi a Firenze, fai un giro di librerie, e non le trovi più. Nel tempo hanno chiuso Marzocco, Martelli, Le Monnier, la libreria del Porcellino, quella dell’Editrice fiorentina, Seber, Sp44, Aleph, la Cima (la prima ad aprire una caffetteria); e ora sta chiudendo pure Edison. Praticamente la città che ha inventato la lingua e la letteratura italiana è rimasta con due sole librerie «omnibus», rivolte a tutti i lettori: entrambe di catena, per quanto gestite con amore; e una attaccata all’altra.
Arrivi a Napoli, sali al quartiere borghese, il Vomero, e vedi che di librerie non ce ne sono più: chiusa la storica Guida, sta chiudendo pure la Fnac; mentre la Treves ha sbarrato l’antica sede di via Roma per riaprirne un’altra, molto più piccola.
Accade in tutta Italia. A Venezia chiude la libreria di calle Vallaresso, a un passo da San Marco. A Verona chiude la storica Barbato di via Mazzini, la spina dorsale della città, per riaprire in periferia. E gli esempi potrebbero continuare.
Molte librerie indipendenti sono in grande difficoltà. La crisi addenta i Piccoli, anche in questo cruciale settore. Perché non sono a rischio soltanto posti di lavoro e volumi d’affari; sono pezzi di città che svaniscono, luoghi di aggregazione che vanno perduti, un patrimonio di cultura e di storia che si impoverisce. E’ evidente che si deve fare qualcosa.
Il fenomeno non è nuovo. Ma con la crisi sta precipitando. La legge pensata per bloccare gli eccessi di ribasso, vale a dire gli sconti, alla fine si è rivelata controproducente. Perché, se girano meno soldi, e se la promozione diventa più difficile, si vendono meno libri.
Va trovata un’altra soluzione. Che non può consistere nell’andare contro la modernità. L’e-commerce si ricaverà spazi crescenti, proprio come gli e-book (sia pure a ritmi diversi da quelli americani, dove sono messe male pure le grandi catene). L’unico modo per uscire dall’attuale crisi del libro, e per prevenire le crisi prossime venture, è lavorare sia sulla domanda che sull’offerta, sia sul fronte del cliente che su quello del commerciante, sia sul lettore sia sul libraio.
Non c’è dubbio che la cultura della parola scritta — e stampata — stia vacillando, proprio mentre si diffondono l’interesse per la vita pubblica e per il mondo globale, insieme con la consapevolezza che l’informazione e i legami di interdipendenza tra i vari Paesi e i vari mercati condizioneranno sempre di più le nostre vite. Occorre diffondere l’abitudine al libro e il piacere della lettura fin dalla scuola. Non sarebbe male che la televisione dedicasse più spazio ai libri. Ma occorre anche formare meglio i librai.
Come in tutti i mestieri che si tramandano di padre in figlio, può accadere che il talento passi attraverso le generazioni, o si smarrisca. Se qualcuno pensava che il mercato del libro garantisse una rendita, ora ha senz’altro capito di essersi sbagliato. Il mercato è anzi in continua flessione: a settembre di quest’anno faceva segnare meno 9 per cento rispetto al 2011, che pure era stato un anno negativo. A questo si aggiungono il caro-affitti, in particolare per i locali nei centri storici, e le difficoltà nell’accesso al credito. Si spiegano così i fallimenti, le rinunce, le chiusure.
Per fortuna, i librai italiani sono capaci di resistenza e di reazione. Il loro amore per i libri e per il mestiere li salverà. La passione, da sola, non è una condizione sufficiente; ma è necessaria. Il libraio del futuro dovrà sempre di più fare delle scelte. In Italia si pubblicano sin troppi libri. Si tratta di tenere quelli che incontrano il gusto della propria clientela— a costo di non fare entrare novità che l’editore vorrebbe imporre —, e di ritagliare uno spazio per classici ed “evergreen” oggi introvabili. Una via può essere la specializzazione. Ma è importante anche mantenere aperto il canale con il pubblico, continuare o tornare a consigliare il cliente, investire tempo ed energie non solo nelle defatiganti operazioni di esposizione ma anche nel conoscere e suggerire il contenuto dei libri. Salvare le librerie storiche, e i loro librai, è nell’interesse di tutti: di chi i libri li scrive, di chi li pubblica, di chi li compra. E degli italiani consapevoli che una libreria fa parte del paesaggio di una città, concorre a definirne l’identità, ne custodisce un frammento di anima che non deve volare via.
Il Corriere della Sera 25.10.12
Pubblicato il 25 Ottobre 2012