«Adesso che, con grande intelligenza politica, Veltroni e D’Alema hanno compiuto il passo indietro, vorrei che il nostro popolo, il nostro elettorato, gli dicesse: grazie per quel che avete fatto. E invece sembra che siano quasi colpevoli, responsabili. Ma di che cosa? Qual è l’accusa? La loro generazione politica, quella dal ‘95 ad oggi, non ha fallito. Tutt’altro».
Un’accorata difesa, onorevole Franceschini. Ma non vede proprio limiti e errori nella lunga stagione segnata da Veltroni e D’Alema?
«Ma è ovvio che di errori ne sono stati commessi. La lista è lunga, la conosco bene e del resto la sento ricordare ogni giorno. Quel che non sento invece è il riconoscimento in positivo, il dar merito di ciò che hanno rappresentato, fino all’epilogo: se abbiamo fronteggiato negli anni e poi sconfitto Berlusconi, in Parlamento, senza scenari da Caimano che pure molti temevano, è stato grazie a questa generazione. Tutta. Veltroni, D’Alema, Prodi, Parisi, Castagnetti, Fassino, Marini Rutelli…».
Una difesa d’ufficio dei politici del centrosinistra?
«Ecco, temevo di incorrere in questo rischio. E confesso che mi era stata sconsigliata un’intervista che, di questi tempi, va pericolosamente controcorrente, Ma sento il dovere politico, morale di reagire ad un clima di intolleranza, al trattamento che stanno subendo due persone che hanno fatto la storia del centrosinistra, con ruoli decisivi nel governo e nei partiti. Mi rivolgo ai nostri elettori. Attenzione a non scambiare rinnovamento e rottamazione, a non confondere la giusta, generazionale necessità di ricambio con l’aggressione e il disconoscimento dei meriti».
Pensa che Veltroni e D’Alema dovrebbero fare marcia indietro nell’addio al Parlamento?
«Non dico questo, la scelta è fatta. Dico che dobbiamo rivendicare con orgoglio le tante cose importati che ci hanno consegnato. I leader del centrosinistra hanno combattuto quasi a mani nude contro Berlusconi, ovvero la più potente, ricca, feroce macchina del consenso in Europa. Nessun altro leader europeo avrebbe vinto in quelle condizioni. E in nessun altro paese i capi riformisti hanno dovuto fare i conti, come noi in Italia, con lo strapotere mediatico di Berlusconi ».
Però la legge sul conflitto di interessi il centrosinistra al governo non l’ha varata.
«Vero, è uno di quegli errori di cui dicevo prima, il rimprovero che sento rivolgerci più spesso. Ma in ogni caso non sarebbe stata la legge a tagliare le unghie al dominio berlusconiano. E, ciò nonostante, per due volte, grazie alla generazione di Veltroni e D’Alema, il Cavaliere è stato sconfitto, prima con l’Ulivo e poi con l’Unione. Pare che molti, ora, se ne siano dimenticati».
Governi autoaffondati però dai contrasti interni.
«Certo, la litigiosità, il grande guaio del centrosinistra. Ma i contrasti fra Blair e Gordon Brown mica hanno oscurato la stagione del New Labour e quelli fra Obama e la Clinton i meriti dei democratici. Però con quei nostri governi di centrosinistra l’Italia entrò nell’euro e cominciò il risanamento economico. Pagine straordinariamente positive che però vengono come rimosse e cancellate».
E come leader di partito?
«Promossi. In quindici anni, quella generazione politica ha guidato in porto un’operazione storica, riunendo in un’unica coalizione tutte le anime riformiste del Novecento: il battesimo prima dell’Ulivo e poi del Pd. Una svolta decisiva. E in cui Veltroni e D’Alema hanno poi avuto anche dei meriti specifici, personali».
Quali?
«Da Massimo D’Alema è arrivata la spinta fondamentale nel consegnare a Prodi la guida della coalizione nel ‘95, con la nascita dell’Ulivo e quindi la conquista del governo, scalzando Berlusconi. E Veltroni ha fatto nascere il Pd e lo ha portato al 33 per cento. Non dimentichiamolo. E con un po’ di orgoglio collettivo del nostro popolo ripensiamo a quanta strada abbiamo compiuto. Senza accuse, recriminazioni. Perché quella di Walter e Massimo non è stata affatto una stagione politica da rottamare, ma da rivendicare. Il tempo e la storia lo dimostreranno».
La Repubblica 22.10.12