Davanti al ministero a correggere i compiti. È la protesta che centinaia di insegnanti, dopo essersi convocati via sms, hanno inscenato ieri a Roma per contestare la norma contenuta nella legge di Stabilità che porta da 18 a 24 le ore settimanali di insegnamento: perché il lavoro di un insegnante – questo il senso della protesta – non finisce a scuola ma continua a casa, nel tempo libero o per strada come ieri. E Bersani lancia un duro messaggio al governo: o cambiano le norme sulla scuola contenute nella legge di Stabilità o il Pd non le voterà. La dichiarazione di Bersani sulla necessità di una retromarcia per le misure sulla scuola contenute nella legge di stabilità, sono l’ultima dura presa di posizione del Partito democratico a difesa della scuola pubblica. Non è la prima volta che il Pd , negli ultimi anni sempre sulle barricate contro l’ipotesi di tagli all’istruzione, alza la voce anche contro il governo che gode della sua fiducia. Lo aveva già fatto contro il provvedimento sulla meritocrazia del ministro Profumo, riuscendo ad ottenerne il ritiro senza alzare polveroni. Questa volta però Bersani ha usato parole piuttosto forti, minacciando, per la prima volta, di non votare a favore del governo. Non è solo il clima delle primarie a suggerire al segretario dem di alzare i toni. Giungono infatti pressioni da molti deputati, dai responsabili scuola del partito ma anche dagli esponenti del governo, come il sottosegretario Rossi Doria, per fermare alcune misure che sembrano francamente ingiustificate. In questi ultimi anni, questo il succo del pensiero di molti esponenti democratici, il mondo della scuola ha già dato molto e ci si aspettava un’inversione di tendenza. Il governo Monti aveva promesso di rimettere al centro dei processi di crescita il sapere e l’istruzione ed invece nell’ultima – l’ennesima – manovra economica il governo chiede al Miur di tagliare di 183 milioni di euro il proprio bilancio. Per ottenere questo risparmio di spesa si chiede ai docenti di incrementare del 30% l’orario di lavoro a parità di salario. Le ore lavorate in più serviranno ad evitare di chiamare i supplenti. Ma il risparmio così ottenuto sarà però largamente superiore ai 183 milioni richiesti dal ministero dell’Economia, arrivando addirittura, secondo le stime dei sindacati e del Pd, ad 1 miliardo di euro l’anno. Un eccesso di zelo del ministro Profumo che vuole fare più e meglio di quanto richiesto dal governo. Una dieta strettissima che però rischia di rendere indigeste le carote destinate ai docenti e agli studenti italiani.
Il pressing sul governo ha già ottenuto i suoi frutti. Due norme che il Pd con- testava, una sui docenti inidonei obbligati a diventare personale tecnico o amministrativo e l’altra sulle nuove certificazioni richieste per gli studenti disabili, sono sparite dalla bozza di decreto. Una parziale vittoria ma ora il Pd si appresta, sul piede di guerra, a contrastare con ogni mezzo l’aumento di orario per i docenti.
Solo questa settimana si saprà se nella commissione Bilancio della Camera si riuscirà a trovare una nuova copertura ai tagli proposti dal governo. Bersani ha dichiarato più volte che i saldi dovranno rimanere invariati e la prima proposta del Pd è di spostare quel taglio dal capitolo di bilancio destinato all’istruzione a quello destinato alla difesa. In alternativa si possono trovare fonti di risparmio anche all’interno del bilancio della scuola ma questo lavoro deve essere fatto in maniera mirata. Una delle proposte del Pd è l’adozione del software open source (gratuito e senza costi di licenza) nei computer delle scuole. Questa misura potrebbe portare ad un risparmio di un centinaio di milioni di euro.
Ma è la situazione generale dei docenti italiani, sempre più a rischio impoverimento, a preoccupare il Pd. Se il titolo di Professore era prima un vanto, oggi sembra quasi uno stigma. I docenti italiani già lavorano più ore dei loro colleghi europei sia nella scuola primaria (22 ore settimanali contro 19,6 di media) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3). Gli stipendi invece rimangono al palo. Il loro potere d’acquisto, secondo Eurydice, la banca dati europea sulla scuola, è calato leggermente a partire dal 2010 ma il rischio grosso è che, a seguito delle misure di austerity, siano loro i più toccati dai tagli. Sedici Paesi Ue hanno già congelato o addirittura ridotto gli stipendi per i docenti. Gli insegnanti di Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo sono stati i più colpiti. Il rischio è che i prossimi siano proprio gli italiani. Con ieri il Pd ha forse voluto lanciare il segnale d’allarme prima che sia troppo tardi.
L’Unità 22.10.12
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“Bersani: non votiamo”, di Bianca Di Giovanni
Sulla scuola è rivolta. Anche parlamentare. «Voglio dirlo con chiarezza: noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola, sono norme al di fuori di ogni contesto di riflessione sull’organizzazione scolastica e finirebbero per dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa». Lo dice a chiare lettere il segretario Pd Pier Luigi Bersani. I Democratici annunciano il voto negativo, se il governo dovesse insistere nel mantenere quel testo. In particolare la disposizione che porta a 24 ore settimanali l’orario dei professori: sei ore in più per coprire «spezzoni» e supplenze giornaliere. Tagliando fuori, così, circa 30mila precari, secondo la Cgil, circa 10mila secondo il ministero. Da cui fanno sape- re di star già lavorando per soluzioni alternative. Il sottosegretario Marco Rossi Doria assicura: nessun taglio ai posti di lavoro.
«Sono contento che Bersani alla fine la pensi come noi sulla scuola e sugli effetti disastrosi delle scelte del governo – ha commentato subito Nichi Vendola – Ora però aspettiamo di vedere coerenza e comportamento dei parlamentari Pd. Il segretario Pd alza il livello del confronto. «In questi giorni continueremo nell’approfondimento della legge di Stabilità e discuteremo con altri gruppi di maggioranza cercando il massimo di convergenza», assicura. Nel rispetto dei saldi, «chiediamo al governo di rendersi disponibile a modifiche significative – continua – Noi metteremo attenzione alla questione fiscale cercando una soluzione più equa e più adatta ad incoraggiare la domanda interna». E non solo. Tra i punti sotto «osservazione» anche gli esodati, per cui gli ulteriori 100 milioni stanziati non bastano ancora. Ma le norme sulla scuola, per il segretario Pd, «così come sono non saremo in grado di votarle –
insiste il segretario – Voglio credere che ciò sarà ben compreso dal governo. Diversamente saremmo di fronte ad un problema davvero serio».
Il «problema serio» significa che il governo uscirebbe battuto in Parlamento, e allora sarebbero guai. Il ministro Francesco Profumo, tuttavia, ha già fatto sapere di essere pronto a modifiche. La norma sull’aumento dell’orario avrebbe prodotto 720 milioni di risparmi nel settore, rispetto ai 183 richiesti da esigenze di bilancio. L’eccedenza sarebbe stata reinvestita nell’edilizia scolastica e in programmi di formazione. Ma per gli insegnanti quello schema è ingestibile, tanto che ogni giorno spuntano manifestazioni di protesta. Formazione e edilizia dovranno trovare risorse da altre parti e non nelle tasche degli insegnanti. Gli uffici di Viale Trastevere stanno già studiando misure alternative, con limature di spesa fondate sull’efficientamento degli uffici. Per ora non si supereranno i 183 milioni richiesti.
«Siamo in piena sintonia con il Presi- dente Napolitano: anche per noi la scuola è parte fondamentale della nostra società, ed è in questo senso che i parlamentari del Pd si stanno impegnando», aggiunge l’europarlamentare Debora Serracchiani. La quale attacca le «vacue» uscite della Lega sull’abolizione dei compiti a casa. «Quelli del Carroccio – aggiunge – parlano senza pensare ai danni che provocano crean- do false aspettative in migliaia di precari del Nord in attesa di stabilizzazione».
IL FISCO E I MENO ABBIENTI
Ma da modificare per il Pd c’è molto di più che la scuola. Sul fisco il relatore Pier Paolo Baretta chiede un «serio confronto tra la maggioranza ed il governo». Nella composizione della legge di Stabilità «i redditi più bassi risultano in assoluto i più penalizzati – aggiunge Ba- retta – converrà rimodulare la distribuzione» tra la riduzione dell’Irpef e l’aumento dell’Iva. Ormai sono sempre più numerosi gli istituti che valutano peggiorativo l’intervento fiscale soprattutto per le fasce più deboli. Ma il ministro Vittorio Grilli continua a difendere la «sua» legge. Intervistato ieri dall’Avvenire ha annunciato che ci sono 900 milioni disponibili per le modifiche, ma che non accetterà «controriforme». «Grilli deve finirla di fare propaganda», commenta Stefano Fassina.
Su un punto il ministro annuncia novità in arrivo: il nuovo Isee (indicatore di situazione economica equivalente), cioè quello strumento in base al quale si erogano trasferimenti o sconti su servizi sociali. Il nuovo testo è già stato preparato dal ministero del Welfare, e già la prossima settimana andrà al vaglio dell’Economia. Per essere varato servono almeno altri due passaggi (Consiglio di Stato e commissioni parlamentari), per questo non vedrà la luce prima della fine dell’anno. Per arrivare poi all’applicazione servirà che i Comuni lo adottino, con il relativo regolamento. Il nuovo testo presenta molte novità: si prevede ad esempio anche l’indicazione delle spese per la badante, o dei costi per la casa sia degli affittuari che dei proprietari. Inoltre, proprio a causa della crisi, si offre la possibilità di fare riferimento alle condizioni correnti, e non a quelle dell’anno prima, per poter «registrare» anche i casi di disoccupazione o di perdita di reddito di altro tipo. Inoltre è previsto che tutti i dati che l’amministrazione già possiede (per esempio la dichiarazione dei redditi Irpef) vengano acquisiti automaticamente. Un occhio di riguardo viene dato alle famiglie con minori.
L’Unità 22.10.12
Ma sull’idea del ministro di «incro- ciare» i dati Isee con quelli Irpef per aiutare i cosiddetti incapienti (quelli tanto poveri che non pagano le tasse) i tempi sono ancora lunghissimi. Di fat- to, basare gli sconti fiscali o i trasferi- menti non più sulle dichiarazioni, signi- ficherebbe rivoluzionare tutte le detra- zioni e deduzioni (non solo tagliarle co- me è stato fatto oggi). Insomma, è un lavoro ancora da fare. Per ora resta l’aggravio per le famiglie.
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