Ma quanto si spende e quanto ci costa la formazione permanente? Quindici miliardi di euro, ovvero circa 30.000 miliardi di lire è questa la cifra di spesa al 2002 della formazione in Italia. A ricordarlo è l’Unieda, secondo cui la formazione in oggetto è quella professionale per i disoccupati e quella continua per i lavoratori e quella permanente per il resto della popolazione. Quindici miliardi di euro significano l’1,2% del PIL nazionale da aggiungere al 4,58% della istruzione (scuola e Università). Il 60,3% delle risorse proviene da fonti pubbliche (nel 2002), il resto dalle imprese e dai singoli cittadini.
Come ribadito nel documento “Istruzione & formazione 2010. L’urgenza delle riforme per la riuscita della Strategia di Lisbona”, gli investimenti nell’istruzione e nella formazione sono per l’Unione “un fattore chiave della competitività, della crescita e dell’occupazione e di conseguenza sono il requisito preliminare per conseguire gli obiettivi economici, sociali e ambientali fissati a Lisbona”. L’obiettivo ambizioso di fare dell’Europa, entro il 2010, “il sistema economico basato sulla conoscenza più competitivo e dinamico del mondo, in condizioni di dar luogo ad una crescita sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”, non è stato raggiunto e nello stesso tempo in più occasioni non si fa altro che decretare il fallimento della cosiddetta Strategia di Lisbona. L’ultimo dato della partecipazione ai corsi di formazione vede l’Italia al 17° posto tra i 25 paesi europei con il 6,2% di partecipanti nella classe si età tra i 25 ai 64 anni. Per contro l’Europa dei 25 rileva una media del 10,8%. L’obiettivo comune per il 2010 è del 12,5%. I finanziamenti dell’Europa sono erogati attraverso il Fse (Fondo Sociale Europeo), che per le sue funzioni è il più amato da chi sa spendere!
I dati della formazione vanno conosciuti meglio e nello stesso tempo fatti conoscere ai cittadini italiani per due motivi. Il primo è che l’Italia destina minori risorse di altri Paesi europei alla scuola e alla formazione; il secondo è che l’Italia spende le sue risorse senza preoccuparsi dei risultati in termini occupazionali. Ovvero, per quanto riguarda l’occupazione, la spesa giustifica un numero crescente di formatori che senza questi fondi sarebbero inevitabilmente disoccupati.
Come si valuta la spesa della formazione? “Voi pensereste attraverso un sistema di valutazione comprendente la qualità delle prestazioni, dei corsi, dei docenti, della ricaduta sull’occupazione dei lavoratori – chiede l’Unieda -. Nulla di più sbagliato. La spesa è il criterio di valutazione assoluto e riconosciuto dall’Unione Europea. Per cui occorre spendere per non vedersi sottratte le risorse assegnate”. E in questo senso l’Italia è più unita che mai.
Si spende al Nord e al Sud più di quanto si possa pensare. È l’Italia centrale che fa fatica ad utilizzare le risorse. “Il Centro spende meno, non per questo spende bene! – si evidenzia -. Non ricordiamo e invitiamo altri a ricordare qualcosa di incisivo sul piano delle politiche della formazione, ad eccezione della regione Toscana che ha razionalizzato in maniera eccellente le sue risorse, realizzando tra l’altro nuove forme di apprendimento mettendo in relazione la formazione permanente, attraverso la creazione dei ‘Circoli di Studio’, alla formazione professionale e senza dirlo, alla cultura di una cittadinanza diffusa.
Spese per la formazione del personale. In questo caso non vi sono dati particolarmente aggiornati. Quelli riportati dall’Uniadi si riferiscono al 2002. Il dato che in questo contesto spicca di più è quello relativo alla scuola: l’Italia spende per la formazione di un insegnante in media 28 euro all’anno. Una cifra che si commenta da se. 86 euro all’anno si spendono per la formazione di un appartenente ai copri di polizia, 72 per gli appartenenti all’Università.
Redattore Sociale, 7 maggio 2009
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