Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Ultima lettera di Aldo Moro alla moglie Eleonora.
Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia le Brigate Rosse uccidevano il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, sequestrato il 16 marzo da un commando in via Fani, dove perdevano la vita cinque uomini della sua scorta.
Attorno alle 13,30, in via Caetani (una strada vicina alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa.
Il 9 maggio 2008 è il primo “Giorno della Memoria al fine di ricordare tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice”, come previsto dalla legge numero 56 del 4 maggio 2007, che ha avuto tra i suoi primi firmatari gli esponenti del PD Sabina Rossa (figlio dell’operaio Guido Rossa, ucciso dalle BR) e Olga D’Antona, vedova del docente universitario Massimo d’Antona, il cui omicidio nel 1999 ha riportato tragicamente sulla scena le BR.
Napolitano celebra la Giornata della Memoria. Il terrorismo è stato sconfitto dallo Stato democratico ma può sempre riemergere. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano celebra al Quirinale la “Giornata della memoria delle vittime del terrorismo” con una doppia valenza: il doveroso e commosso omaggio alle vittime e il monito affinché tragedie simili non abbiano più a ripetersi. “Scongiurare ogni rischio di rimozione di una così sconvolgente esperienza vissuta dal Paese, per poter prevenire ogni pericolo di riproduzione di quei fenomeni che sono tanto costati alla democrazia e agli italiani”, è infatti il monito che lancia il Capo dello Stato. Napolitano ricorda che “abbiamo visto negli ultimi anni il riaffiorare del terrorismo, attraverso la stessa sigla delle Br, nella stessa aberrante logica, su scala ben più ridotta ma pur sempre a prezzo di nuovi lutti e di nuove tensioni. Si hanno ancora segni di reviviscenza del più datato e rozzo ideologismo comunista e vediamo nel contempo segni di reviviscenza addirittura di un ideologismo e simbolismo neonazista”. A tal proposito, il presidente della Repubblica esorta a “saper cogliere il dato che accomuna fenomeni pur diversi e opposti: il dato della intolleranza e della violenza politica, dell’esercizio arbitrario della forza, del ricorso all’azione criminale per colpire il nemico e non meno brutalmente il diverso, per sfidare lo Stato democratico”. Occorre, per Napolitano, “opporre a questo pericoloso fermentare di rigurgiti terroristici, la cultura della convivenza pacifica, della tolleranza politica, culturale, religiosa; la cultura delle regole democratiche, dei principi, dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione repubblicana”. E, al tempo stesso, “occorre ribadire e rafforzare senza ambiguità un limite assoluto, da non oltrepassare qualunque motivazione si possa invocare: il limite del rispetto della legalità, non essendo tollerabile e, anche muovendo da iniziative di libero dissenso e di contestazione, si varchi il confine che le separa da un illegalismo sistematico e aggressivo”.
Negli occhi la voglia di cambiare: un ricordo di Peppino Impastato. “Era la notte buia dello Stato Italiano, quella del nove maggio settantotto. La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l’alba dei funerali di uno stato”. Con queste parole, scritte dal gruppo folk-rock dei Modena City Ramblers, viene fotografato il tragico attimo della morte di Peppino Impastato, ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio da Cosa Nostra su ordine del boss Tano Badalamenti.
Una vita, quella di Peppino Impastato, dedicata alla battaglia contro la mafia, in anni in cui l’omertà e la paura dominanti, soprattutto in Sicilia, creavano un terreno fertilissimo per lo sviluppo e la crescita delle organizzazione criminali. In quegli anni, a cavallo tra gli anni 60 e la fine degli anni 70 solo in pochi ebbero il coraggio di denunciare e lottare attivamente contro lo mafia. Tra questi, il nome di Peppino Impastato, giovane militante di Democrazia proletaria, rimarrà per sempre impresso nell’olimpo dei martiri che hanno pagato con la vita il loro sacrificio per un Paese migliore.
“Ancora oggi Peppino rappresenta la bella gioventù di questa terra straordinaria quella che non piega la schiena, che non si gira da un’altra parte per non vedere, che grida la propria indignazione davanti all’ingiustizia, che anche in politica non ama i calcoli e gli opportunismi, che sogna un presente e un futuro diverso e migliore e che per la realizzazione di questo ideale è pronta a sacrificare persino la propria vita”. Sono le parole con le quali Giuseppe Lumia, senatore del PD da sempre impegnato nella lotta contro cosa nostra, ha ricordato il giovane ucciso a Cinisi trent’anni fa.
“Penso che le parole più belle su Peppino Impastato – ha aggiunto Lumia – le abbiano scritte recentemente dei ragazzi come lui, i Modena City Ramblers”. E proprio alcuni passaggi del testo della canzone “Cento passi” sembra essere lo strumento migliore per ripercorrere la vita di Peppino.
E’ nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio..
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare..
Aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato..
Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un’ideale ti porterà dolore..
Giuseppe impastato nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa. Il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, e lo zio e gli altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella. Ancora ragazzo, rompe con il padre, che lo caccia di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo di dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo Musica a cultura e nel 1976 fonda Radio Aut, emittente libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.
Poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare..
Gli amici, la politica, la lotta del partito.. alle elezioni si era candidato..
Diceva da vicino li avrebbe controllati, ma poi non ebbe tempo perchè venne ammazzato..
Il nome di suo padre nella notte non è servito, gli amici disperati non l’hanno più trovato..
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio di quell’anno, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, in occasione della consultazione elettorale, i cittadini di Cinisi, scrivendo il suo nome tra le preferenze, riescono ad eleggerlo, simbolicamente al Consiglio comunale. Stampa, forze dell’ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, del suicidio.
Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l’inchiesta giudiziaria. Nel maggio del 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection. Nel gennaio 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia all’udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nella commissione si rendono note le posizioni favorevoli all’ ipotesi dell’ attentato terroristico poste in essere dai seguenti militari dell’ arma: il Maggiore Tito Baldo Honorati; il maggiore Antonio Subranni; il maresciallo Alfonso Travali (fonte: Relazione Parlamentare sul caso Impastato). Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo.
La giustizia, in questi anni, ha compiuto il suo percorso. La battaglia di cui Impastato è stato uno degli interpreti principali è ancora aperta, ancora tutta da giocare. Di certo se i giovani italiani, i giovani siciliani, seguiranno il cammino tracciato da Peppino e da chi come lui non ha avuto paura di gridare la sua rabbia, questa battaglia si può e si deve vincere.
Ma la tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare, gridando forte senza aver paura contando cento passi lungo la tua strada.
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