Non hanno solo protestato contro i tagli ad una scuola stretta tra le mirabolanti promesse tecnologiche e i soffitti che crollano, tra premi per i più bravi e riduzione delle risorse necessarie perché i meritevoli possano davvero provare di esserlo, nonostante disuguali condizioni di partenza.
HANNO dichiarato la loro sfiducia a tutta la classe dirigente, agli adulti che hanno il potere di prendere le decisioni cruciali per il loro destino: governo, partiti politici, sindacati, imprenditori. Derubricare questa protesta come manifestazione adolescenziale senza una vera maturità politica, sarebbe grave e forse pericoloso. Dopo essersi sentiti definire da tutti una generazione perduta, questi ragazzi stanno provando a dire che non vogliono fare le vittime sacrificali degli errori altrui. Lo spettacolo dato dalla politica è stato una miccia per una ribellione che non poteva non esplodere. A fronte delle continue esortazioni a portare pazienza, perché non ci sono risorse, alla promessa che la riforma delle pensioni e quella del lavoro sono state fatte per loro, i giovani, è arrivata anche la prova che molti soldi vengono buttati, che chi ha il potere di decidere si tiene stretti i propri privilegi (e qualcuno anche ruba). Sarà semplicistico dedurre che basterebbe togliere, subito, non a partire dalla prossima legislatura, rimborsi elettorali, vitalizi e pensioni facili e ridurre un po’ gli stipendi dei politici, per avere le risorse necessarie alla scuola e ai servizi sociali. Ma andatelo a spiegare a ragazzi che si sentono continuamente fare la lezione da chi poi pratica, o avvalla, o non denuncia questi sprechi e abusi. Non mi sorprende che la sfiducia sia più bruciante nei confronti del centro-sinistra e dei sindacati: perché da loro ci si aspettava di più.
Anche nel movimento del ‘68 la critica ai partiti di sinistra era stata radicale e un po’ tranchant. Ma allora l’accusa era di aver tradito la promessa di cambiare il mondo. Il terreno del conflitto, persino gli ideali, erano, o si volevano, comuni. Oggi l’accusa rivolta ai politici di ogni colore è che pensano solo a farsi gli affari propri, che badano solo al proprio interesse. Spero che nessun partito e nessun gruppo dirigente pensi di poter cavalcare questa protesta a puri fini elettoralistici. O viceversa di poterla ignorare come una febbre di stagione o bollarla di anti-politica. Tanto più che dietro a quelli che sono scesi a protestare, ci sono i molti altri che esprimono la sfiducia nel silenzio, nel cinismo di chi sa che tanto non cambia nulla. E ci sono gli adulti, i genitori, altrettanto sfiduciati se non anche un po’ atterriti dalla tenaglia della crisi economica, cui si aggiunge quella della devastazione economica e morale prodotta dalla gestione politica e della politica ad ogni livello.
Il governo e i partiti, in particolare il Pd se vuole continuare ad avere un senso e un futuro, hanno la responsabilità di provare a ricostruire un terreno di comunicazione, prima ancora che di confronto, con questa generazione. Senza false promesse, ma anche senza dire loro che l’unica cosa che si può fare oggi è attraversare il deserto, stringendo i denti, e poi si vedrà. Occorre restituire a questi ragazzi la speranza che anche per loro ci sia un futuro dignitoso, per il quale valga la pena di impegnarsi, la dignità di essere considerati come la risorsa più preziosa. Occorre mostrare loro che ci sono interlocutori affidabili, non solo perché non rubano e sono sobri, ma per le scelte che fanno e che accettano di discutere e verificare con gli interessati. Altrimenti sì che si rischia di abbandonarli ad un destino di generazione perduta, con la rabbia, la violenza, il cinismo che ne sono l’inevitabile corollario.
La Repubblica 06.10.12
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“E nei twitter da un corteo all’altro paure e speranze dei nuovi arrabbiati”, di Corrado Zunino
Fumogeni granata accesi da ragazzi con la maglietta “Roma antifa’”, manganelli che scendono sugli scudi letterari che difendono la prima fila, i book bloc la cui fama è ormai consegnata ai libri di carta. Hanno quindici anni i ragazzi e twitter gli fa sapere che a Torino e a Bologna quindicenni hanno sfondato le linee del reparto mobile. “Sfondiamo anche noi”. Porta Portese, il mercato dell’usato e del rubato della capitale, è la nuova linea Maginot per i nuovi studenti in strada. Accelerano il passo, corrono, altre manganellate della polizia. Questa volta sui denti, sugli zigomi. Uno di loro, quindici anni, viene trascinato via, sull’asfalto, per la maglietta rossa. Due calci alla schiena, poi il vicequestore chiamerà i genitori.
L’autunno caldo è qui, sotto il sole di un’altra giornata d’estate. Dopo gli operai dell’Alcoa, in corteo ora ci sono adolescenti del ciclo superiore della scuola media. Sono tornati in piazza gli studenti delle metropoli, delle scuole dei centri storici italiani. Come nell’autunno 2008, quando l’Onda s’infranse sullo scontro in piazza Navona rossi contro fasci . Come nell’autunno 2010, quando il movimento anti-Gelmini insorse in piazza del Popolo appena seppe – da twitter – che il governo Berlusconi restava in piedi comprando tre deputati di Fli. Quella generazione, Generazione P, precaria, perse perché le leggi Gelmini sulla scuola e sull’università contestate sui tetti passarono in aula. Vinse, però, perché resistette un secondo in più del governo Berlusconi, come aveva promesso.
I quindicenni sotto l’arco di Porta Portese, cresciuti sotto un governo tecnico che non capiscono, che non è roba loro, ora sono arrabbiati, spauriti. Insieme. Sono organizzati male, visto che sono nuovi all’impresa, e pericolosi quando si muovono nelle strade di Trastevere fra le auto parcheggiate e i negozi con la merce esposta sul marciapiede. Sono fuori controllo, ecco. Le generazioni precedenti che si erano fatte (e rotte) le ossa in piazza sono filate via all’università e quelli dell’università arriveranno solo venerdì prossimo. Un altro corteo.
Berlusconi no, non c’è più. Ora c’è un governo di liberali, di cattolici e di banchieri gradito all’Europa e a Obama e un ministro dell’Istruzione che loro, quindicenni, scambiano per un banchiere. I loro fratelli maggiori sono precari come sotto Berlusconi e le tasse universitarie sono di nuovo cresciute, per volontà del ministro o dei singoli atenei poco importa. E la legge Fornero, che gli aveva promesso di spazzare via le quarantotto precarietà istituzionalizzate dal codice civile, gli offre solo un nuovo tirocinio. Per andare dove?
“No alla tessera del tifoso”, dice l’altra t-shirt, perché prima di venire in piazza si è fatta formazione in curva. I licei alla testa del corteo romano, dietro lo striscione “Riprendiamoci la scuola e le città”, sono i soliti. Il Virgilio, il Tasso, il Righi, il Mameli. Protestano anche per conto degli istituti tecnici in periferia, assicurano, lì se devono saltare scuola poi in corteo non ci vanno: “Non siamo una questione di ordine pubblico, ma se non ci ascoltate lo diventeremo”, urla al megafono uno che ha un paio d’anni più degli altri. I volti di alcuni che invece urlano “sbitto di m…” raccontano come i loro genitori arrivarono qui, nell’altro secolo, dalla Cina, dal Perù, dal Senegal. E loro ora cantano i cori con l’accento romano, li hanno assimilati allo stadio. Parlano dell’As Roma come fosse cosa loro, altro che governo tecnico. I ragazzini precari sono tornati, la precarietà dei ragazzini è sempre lì. L’autunno sarà lungo.
La Repubblica 06.10.12