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"Non sono tutti uguali. Ma ci vuole più severità", di Vittorio Emiliani

Viene a galla la cattiva politica, l’avidità di una consociazione di “magnaccioni” (Romani ma pure padani), l’inosservanza delle regole, anche minime, l’indifferenza o l’assenza, in più di un caso, delle istituzioni in omaggio alla caricatura egoista del federalismo. Ma paghiamo pure la latitanza di un’opinione pubblica avvertita. La sua rassegnazione davanti al persistere dei cattivi esempi, la estemporaneità dei movimenti, una informazione superficiale e sensazionalista che spesso non discerne e spara nel mucchio. Viene insomma a galla un deficit cronico di democrazia reale. Potevano essere risparmiati all’Italia dei cittadini impegnati che pagano le tasse e ancora fanno politica con spirito di servizio, casi come questo di Francesco Fiorito, capogruppo berlusconiano al Consiglio regionale del Lazio? Poteva venire loro risparmiata una storia che probabilmente ha parecchi risvolti penali, ma che è già inaccettabile per una continua, ostentata, proterva volgarità e indecenza?

Credo proprio di sì. Possiamo invertire la rotta se sappiamo individuare mali e rimedi. La democrazia è correzione saggia degli errori. Il decentramento dei poteri e quindi dei finanziamenti è avvenuto allentando i controlli, facendo a meno dei parametri nazionali «virtuosi» per il costo di beni e servizi. Per cui ogni Regione è divenuta sempre autonoma nel senso di non rispondere più a nessuno (se non, molto tardivamente e in modo formale, alla Corte dei conti). È divenuta cioè autoreferenziale, ognuna ha risposto di se stessa a se medesima, le Giunte alle Giunte e i Consigli ai Consigli. Tutti gestori senza controlli, né dal basso, cioè dagli elettori, né dall’alto o dal centro. Con troppi a chiudere gli occhi su una pacchia offensiva. Fuori da quei palazzi – come a specchio – gli evasori erano un esercito di fronte alla debole volontà politica dei governi, l’edilizia di speculazione galoppava sulle praterie aperte da leggi o permissive o divelte da sciagurati condoni. E così la finanza allegra: nei porti turistici migliaia di bandiere di società e di Stati di comodo garrivano alla brezza gioiosa, mentre nel contempo tanti agricoltori erano allo stremo, gli industriali piccoli e medi chiudevano, strangolati dalle banche, la disoccupazione e l’inoccupazione segnavano a fondo generazioni di giovani, e dal Sud i migliori ripartivano, a decine di migliaia.

E tuttavia non possiamo, non dobbiamo unirci a quanti, populisti di destra e di sinistra (ma è mai di sinistra il populismo?) vogliono riportare indietro il Paese, sparando nel mucchio, «tanto, tutti i politici sono uguali». Sotto l’incalzare dei cittadini deve accadere il contrario: i partiti – necessari ad una vera democrazia – devono fare per primi pulizia in questa emergenza che è ancor peggio di Tangentopoli (dove chi rubava lo faceva, sovente, per il partito), devono rinnovare i quadri, aprirsi alla società, ai giovani, prevedere una legislatura «costituente» per rivedere a fondo il sistema di governo, il frettoloso pasticcio del Titolo V della Costituzione, cedimento ad un federalismo «all’italiana» che ha prodotto disastri, a cominciare dalla Lega stessa, e che ha rischiato di far deflagrare l’Italia e che comunque ha concorso a precipitarla.

L’Unità 03.10.12