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"C’è tanta differenza tra destra e sinistra", di Nicola Cacace

Il Premio Nobel Joseph Stiglitz, nel suo ultimo libro, The price od inequality (il prezzo della diseguaglianza), ha evidenziato come le diseguaglianze nel mondo globalizzato siano alla base della crisi di molti Paesi. Egli riconferma il dato che nella società della conoscenza mentre il capitale è mobile, la risorsa umana resta locale e questa si conferma il primo fattore di successo di imprese e Paesi e di attrazione degli investimenti. Emblematico il caso della Svezia, Paese ad alta pressione fiscale e dal costoso welfare universale, tra i primi paesi occidentali per eguaglianza ed attrazione di Ide, investimenti diretti esteri, sino al 30% degli investimenti fissi (Italia è al 3%).
Stiglitz cita il caso degli Stati Uniti, Paese ad alta diseguaglianza dove, negli ultimi decenni, da Reagan in poi, la ricchezza si è accumulata a favore dell’1% delle famiglie, col restante 99% che ha perso potere d’acquisto. L’effetto delle diseguaglianze sullo sviluppo è ancora più evidente in Europa, data la ricchezza di dati significativi, in particolare l’indice Gini, che misura le diseguaglianze di reddito, con valori che vanno da 0 (Paesi teoricamente a perfetta parità di redditi) ad 1 (Paesi col massimo di diseguaglianze). Questi dati confermano ancora una volta che i Paesi a più alta diseguaglianza, indice di Gini superiore a 0,3, sono quelli più in crisi e il cui reddito è cresciuto meno. In particolare i principali Paesi a maggior diseguaglianza dell’Eurozona sono Portogallo (Gini 0,36), Grecia (0,33) e Italia (0,32), mentre i Paesi con distribuzione dei redditi più equa sono Germania (0,29), Francia (0,28), Olanda e Belgio (0,27), Austria e Finlandia (0,26).
Non è un caso che i Paesi meno diseguali, siano cresciuti molto più dei secondi: nei 6 anni 2005-2010 il tasso cumulato di crescita del Pil è stato del 5% in Francia, dell’8% in Germania, Belgio e Finlandia, del 9% in Olanda ed Austria, mentre è stato del 4% in Grecia, del 3% in Portogallo e del -0,1% in Italia. I Paesi europei più «eguali» sono cresciuti più dei Paesi più «diseguali», con due eccezioni che confermano la regola, Spagna ed Irlanda, Paesi ad alta diseguaglianza (Gini 0,32) il cui Pil nel sessennio è cresciuto molto (8%), grazie solo alle Bolle immobiliare e finanziaria, che successivamente questi Paesi stanno pagando duramente con recessione e disoccupazione.
Ho ricordato questi dati per spiegare due assunti: A) esistono ancora oggi differenze nette tra destra e sinistra, differenze diverse da quelle classiste di una società che non c’è più, ma differenze giustificate da nuove stratificazioni sociali tra vertice e base della società. Una destra che chiede libertà senza eguaglianza e una sinistra che chiede libertà con eguaglianza; B) un governo politico di centrosinistra è da preferire ad un governo tecnico-bis, essendo il primo teso a mantenere gli impegni con l’Europa sia pure in un quadro di maggiore equità sociale, a differenza del secondo.
I casi della politica fiscale seguita in Francia dal presidente Hollande più tasse ai ricchi, Tobin tax per la finanza, etc.e quella seguita anche in Italia da Monti Imu sulla casa senza alcuna progressività per i multiproprietari, astensione a Bruxelles sulla Tobin tax anche per i condizionamenti della destra, sono esempi concreti di differenze politiche significative. Ecco perché il Pd non può non rifiutare l’ipotesi di un governo Monti bis, a priori e senza vaglio elettorale, pur riconoscendo al professore tutti i meriti acquisiti, tra cui quello di aver tirato il Paese fuori dal baratro in cui Berlusconi lo aveva avviato.
A prescindere da questioni di forma non marginali la farsa di una manifestazione elettorale con un candidato premier virtuale contro candidati in carne e ossa un governo tecnico-bis non potrebbe perseguire gli obiettivi di eguaglianza del centrosinistra. Questi alcuni significativi motivi per rifiutare l’ipotesi di un Monti-bis, definito a priori prima di una eventuale emergenza di ingovernabilità, oltre che per il rispetto degli elettori e dello stesso professor Monti, la cui nota coerenza di democratico e liberale, sono sicuro, lo sottrarrà all’abbraccio interessato di liste, movimenti e partiti, tesi solo, strumentalizzando la sua credibilità, ad evitare una sconfitta annunciata. Appoggiare Monti a priori, come chiedono anche alcuni amici e compagni del Pd, oltre a umiliare elettori e politica, significherebbe distruggere l’anima e il corpo dell’unico partito che vuole eguaglianza nella libertà.

L’Unità 02.12.10

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