È proprio vero che questa crisi sta cambiando in profondità il Paese. Ogni anno, la fine di settembre ha rappresentato l’appuntamento obbligato, di stampa e tv, per tornare a discutere di scuola. A fare da richiamo i classici temi: l’aumento del costo dei libri, la carenza di aule e locali dignitosi, l’attesa per le nomine che non si concluderanno prima di novembre, l’annuncio di riforme a futura memoria e via dicendo. Per almeno una settimana, il tema scuola tornava di attualità in qualche modo favorendo una ripresa di discussione.
Quest’anno la notizia si è bruciata in un giorno e non perché la situazione nella scuola sia migliore degli anni precedenti. Anche l’annuncio del Ministro Profumo di un concorso per nuove assunzioni di insegnanti, non è riuscito più di tanto a guadagnare la prima pagina.
Il dato vero, dunque, è la progressiva marginalità della scuola; marginalità non solo politica, giacchè il tema non compare mai negli appuntamenti e negli interventi che contano ma anche sociale. Con questa crisi, questo è il messaggio implicito, ci sono ben altri problemi: il caro vita, le tasse, l’occupazione, la fame di lavoro, le tutele per chi il lavoro lo vede in discussione.
E allora se qualche migliaio di giovani decide di non andare più a scuola, se altri ripiegano sul primo corso tecnico/professionale con la speranza di poterlo spendere al più presto, se altri , di fronte al primo insuccesso si ritirano dalla scuola, tutto ciò non “fa notizia”.
E davvero se al 17 settembre i bambini delle zone terremotate non ci avessero comunicato le loro emozioni per un anno così speciale, vissuto tra tendoni e aule improvvisate, ben pochi avrebbero colto questo inizio d’anno.
Ovviamente lo scenario cambia se si osservano i siti “specializzati” o quelli delle organizzazioni sindacali. Qui ribolle lo scontento, la frustrazione e la sensazione di abbandono. Restano appese nel vuoto le “ innovazioni “ del precedente Governo: dalla scuola di base al riordino dei cicli. Carte, documenti e testi che avrebbero dovuto essere implementati con azioni significative di formazione che nessuno ha visto. E resta sullo sfondo la politica del Ministro Profumo. Perché si colgono alcuni segni quali il progetto contro la dispersione nel Sud o il piano per la scuola digitale ma la sensazione è quella di frammenti che non fanno una strategia. Forse dietro questa realtà c’è un dato vero: il tempo a disposizione di questo Governo è troppo breve per impostare un programma di qualche respiro e la durezza della situazione economica rilancia continuamente altre priorità.
E allora il Ministro ha fatto la scelta del “ concorso” come timbro anche a futura memoria della sua azione. Francamente non so se abbia avuto chiaro sin dall’inizio il ginepraio di contraddizioni in cui stava per cacciarsi. Il concorso infatti riapre una delle contraddizioni del sistema più spinose. Non è facile infatti trovare un sensato equilibrio tra le aspettative maturate da quanti per anni, anche avendo vinto un concorso precedente, restano in graduatoria in attesa della fatidica chiamata ; oppure i più giovani che hanno anche investito economicamente per il nuovo percorso abilitante (TFA) e ora si vedranno proporre un concorso che comunque drenerà posti disponibili ma ben difficilmente potrà “ringiovanire” la categoria dei docenti..
Un complicato conflitto di interessi che diventerà, ne siamo sicuri, conflitto giuridico a tutto campo con ricorsi di ogni genere che ancora una volta affideranno alla magistratura amministrativa i destini finali delle scelte sul campo.Sul piano politico c’è da registrare la netta contrarietà al concorso dell’On. Aprea (Pdl); lei ha sempre sostenuto la necessità dell’assunzione diretta dei docenti da parte delle scuole. E forse, su questa contrarietà, bisognerebbe riflettere con calma.
Di fronte a tutto ciò le scuole ricominciano l’anno e i milioni di studenti che tornano ad affollare le aule , non lasciano scampo; a loro non puoi dire “ ripassate più tardi” o “aspettiamo un nuovo governo”. E allora le scuole raccolgono le loro forze, la qualità delle esperienze realizzate e provano a fare dell’autonomia una risorsa anche per sopravvivere in tempi così incerti. Ma anche dietro questo sforzo, così apprezzabile, emerge una domanda di politica che per ora non trova risposte significative. Nell’agenda-Monti,il tema della scuola ( ed anche formazione e ricerca) ha un ruolo decisamente marginale; nessuno dovrebbe dimenticarlo, compresi coloro che anche dal versante progressista hanno apprezzato il Governo per alcune scelte. Ma la politica è in grado di esprimere una proposta per la scuola? Nelle sue ultime esperienze il centro sinistra ha puntato sull’autonomia come leva per un cambiamento complessivo dell’istruzione/formazione. Quel generoso tentativo meriterebbe una riflessione approfondita ma certo ha rappresentato una proposta strategica di lungo periodo. E ora? Che cosa è in grado di proporre il variegato mondo della sinistra e dintorni? Sarebbe importante che i partiti cogliessero questa esigenza di “politica” che proviene anche dallo scenario sociale della scuola e della formazione..
L’unica parola forte pronunciata in occasione dell’inizio dell’anno scolastico , l’ha pronunciata ancora una volta il Presidente Napolitano. Non era certo la prima volta che il Presidente cogliesse l’occasione al Vittoriano per richiamare una cultura della legalità quale base etica per il futuro del Paese. Ma in questa circostanza, l’ultima, dal punto di vista istituzionale, il Presidente ha usato una parola nuova :“ vergogna”, riferita ai noti fatti di spreco delle risorse pubbliche. “Vergogna” è un termine inusuale in politica perché essa si produce non solo in relazione a una possibile sanzione esterna; è innanzitutto un giudizio su se stessi prima ancora che il timore di un giudizio degli altri. Vergogna esprime quindi un sentimento profondo e doloroso perché solo chi prova vergogna può aprire le porte al suo contrario: la riconquista della stima , della dignità.
Il fatto che pochissimi del mondo politico abbiano notato questa dolorosa manifestazione, ci lascia capire fino in fondo la profondità della caduta della politica. Non resta che sperare che il sussulto del Presidente sia foriero di un nuovo scatto per il futuro del Paese.
da ScuolaOggi 02.10.12