attualità, economia, partito democratico, politica italiana

"Bersani: no scorciatoie, sfida sulla Tobin Tax",di Simone Collini

Parla esplicitamente di «dopo Monti» e della necessità di «uscire dall’eccezionalità», di smetterla con le «scorciatoie» e le «ricette tipicamente italiche». Lancia una frecciata a Montezemolo («Luca, non vorrai mica guidare la macchina stando ai box?») e una a Renzi: «I messaggi comunicativi non trasformano l’acqua in vino, bisogna guardare alla sostanza e io non chiederò agli italiani di piacere ma di essere considerato credibile perché dico la verità». E poi ironizza sulla trasferta fiorentina di Clinton e sugli appuntamenti annunciati e mai realizzati: «Per essere qui a Lamezia Terme ho rinunciato alla foto con lui a Cesena dov’ero stato invitato, ma era giusto ripartire da qui, dal Sud, dalla Calabria».

Pier Luigi Bersani chiude la conferenza nazionale del Pd sul Mezzogiorno parlando della crisi economica che attraversa l’Europa, di quanto sia illusorio pensare che qualcuno a livello nazionale o comunitario possa «salvarsi da solo» («Si parte dal Sud e si fanno cose per l’Italia») e di come le «cure della troika» stiano fallendo miseramente generando un «avvitamento tra austerity e recessione», mentre servirebbe introdurre a livello europeo una tassazione sulle transazioni finanziarie. «La finanza paghi un po’ di quel che ha provocato», è il messaggio che di fronte a 1500 persone provenienti da tutta Italia lancia all’indirizzo del governo. Al prossimo Consiglio europeo (il 18 e 19) si dovrà infatti discutere l’introduzione della cosiddetta Tobin tax e mentre Francia, Germania, Austria, Portogallo, Grecia e diversi altri Paesi Ue si sono detti favorevoli sfidando le contrarietà della Gran Bretagna, l’Italia ancora non si è espressa. Bersani ne ha discusso tre giorni fa a Bruxelles con i leader dei socialisti francesi e della tedesca Spd, concordando con loro la necessità di incalzare i singoli esecutivi comunitari a schierarsi a favore di un’imposta dello 0,1% sulle transazioni di azioni e obbligazioni. Ma non è solo su questo fronte che Bersani intende incalzare il governo, nelle prossime settimane.

A Monti chiede di porre la fiducia sulla legge anti-corruzione («come ha fatto per norme di minor rilevanza»), a Fornero di trovare una soluzione per gli esodati («per strada fermano me, ed è il Pd a colmare il vuoto per così dire comunicativo che c’è tra il governo e la società»), a Passera, che dalla convention leghista di Torino ha proposto di commissariare le Regioni non virtuose, fa notare che poteva direttamente dire a Maroni che avrebbe commissariato la Lombardia, visto che la giunta Formigoni sta in piedi grazie ai voti leghisti («non mi sono piaciuti toni così accomodanti»). E se oggi altre forze politiche o commentatori vari si fanno supporter del Monti bis e invitano il Pd a fare altrettanto, Bersani manda a dire: «Monti l’abbiamo voluto noi, rinunciando anche ad interessi di partito, non mi vengano a dire quanto è bravo, nessuno è autorizzato a farci la predica». L’ipotesi di una prosecuzione di questa esperienza a prescindere dalle urne non piace però al leader del Pd. «Basta scorciatoie e ricette italiche, la politica deve tornare ad essere credibile», dice precisando che questo non significa che vuole «un ritorno di Monti alla Bocconi». L’attuale premier è una «risorsa», ribadisce il leader del Pd, ma non si può scommettere sul fallimento della politica per rendere nuovamente inevitabile la grande coalizione, non si può lavorare per una legge elettorale puramente proporzionale che porti alla «balcanizzazione» pensando poi che per uscire dalla «palude» il Monti-bis sia d’obbligo. «L’Italia deve uscire dall’eccezionalità, non può rimanere in Europa, nell’Euro, e star fuori dalle normali democrazie. O forse qualcuno pensa che il mondo si tranquillizzerebbe se diciamo che la politica non è in grado di farci uscire dall’emergenza? La politica deve rimettersi in gioco, riconfermare il suo ruolo riconoscendo anche il suo limite». E quindi aprirsi alla società.

Ed è in questo quadro che Bersani non solo rilancia la scuola di formazione per aspiranti nuovi dirigenti politici (ci sarà un altro appuntamento come quello che l’anno scorso ha portato a Napoli 2000 giovani provenienti da tutte le regioni del sud), ma risponde anche a chi, pure dentro il Pd, continua a nutrire dubbi sull’opportunità di svolgere le primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra. Non hanno nascosto le loro perplessità Rosy Bindi, che qui a Lamezia Terme ha insistito sul fatto che «bisogna investire al Sud, scommettere sulla legalità, riporre al centro il lavoro e soprattutto chiamare a nuova responsabilità una classe politica che in qualche modo è corresponsabile di una situazione così grave». Non lo ha fatto neanche Beppe Fioroni, che ha confessato avrebbe preferito vedere i vari esponenti Pd esprimere qui le loro opinioni, sul Mezzogiorno e non solo, anziché nei talk show o sui giornali. Bersani sa che la sfida con Renzi non è priva di rischi, ma sa anche che in una situazione come questa sarebbe dannoso «rinchiudersi nel fortino». «Dobbiamo metterci la faccia, azzardare, e il giorno dopo le primarie potremo dire che non ci ammazza nessuno. Berlusconi, Grillo, Montezemolo, nessuno».

L’Unità 01.10.12