Ministro Riccardi, quanto giudica grave il problema della corruzione nell’Italia di oggi?
«Ai tempi di Mani pulite ero già abbastanza vecchio, come cittadino la mia sensazione è che allora il sistema dei partiti stesse tragicamente implodendo per la perdita della sua forza politica e propulsiva. La corruzione era la conseguenza di una crisi ideologica e di sistema più profonda. Oggi mi sembra diverso, mi sembra che la corruzione sia connessa ad un imperante cattivo gusto, mi sembra rivelatrice di fenomeni antropologici e di costume. Non sminuisco quanto sta accadendo, anzi. Si tratta di fenomeni assurdi ed esibiti in un Paese che sta soffrendo, che non trovano nemmeno una motivazione o una attenuante legate a qualche disegno di politica o di potere ».
Non le sembra una visione troppo ottimista?
«Affatto e sono preoccupato perché i fatti che leggiamo sui giornali screditano le istituzioni di fronte alla gente, fanno crescere
l’antipolitica, portano le persone a dire che non vale più la pena di partecipare, di votare e così i cittadini sono ancora più soli e rabbiosi».
Dice che gli scandali di oggi sono diversi da Tangentopoli, ma è una parte del sistema politico della seconda repubblica ad avere prodotto questa classe di amministratori.
«Siamo di fronte alla crisi di parte di classe dirigente che ha divorziato dalla politica per cui la vita è un gioco mentre per la gente comune la quotidianità è durissima. Ma faccio fatica a individuare in questi casi grotteschi di oggi un disegno machiavellico, un filo ideologico, se non quello di una soddisfazione individuale, segno di una decadenza morale che investe e contagia molte parti del Paese. Con una battuta posso dire che siamo passati dalla “Caduta degli dei” di Visconti a un film dei Vanzina».
Dunque condivide le parole di Napolitano per il quale non bisogna fare di tutta l’erba un fascio?
«Esatto, sono convinto che questa crisi non debba indurre a verticalizzare la politica. Non dobbiamo buttare via le autonomie locali, ce ne sono di virtuose e comunque sono fondamentali per il Paese. Dobbiamo invece risanarle, investire
su una visione di lungo periodo ».
Come dice Passera, punire chi sbaglia e premiare chi è virtuoso?
«Si deve punire, certo, ma non basta, bisogna anche promuovere le idee, i sentimenti, lo spirito di servizio, altrimenti la politica diventa un mestiere pericoloso».
Cosa farà il governo per convincere i cittadini che scandali simili non si ripeteranno?
«Posso dire che ci muoveremo presto e con decisione perché il nostro stile è improntato all’austerità in un Paese che sta facendo grandi sacrifici. E come detto, siamo preoccupati che proprio andando verso le elezioni cresca la disaffezione della gente verso le istituzioni e nel sentirsi parte di una comunità politica. Dunque faremo tutto il necessario. Poi però bisogna anche lavorare alla crescita del tessuto politico. C’è un’Italia pensosa, come dimostrano i tanti festival della cultura e del pensiero, il mondo del volontariato, i quasi duemila partecipanti al Forum della cooperazione e anche le 250mila persone che hanno voluto salutare in duomo il cardinal Martini, un uomo rigoroso che non faceva sconti a nessuno. C’è un’Italia insomma che vuole pesare e non è abbrutita. Ma non sa dove guardare».
Si impegnerà anche dopo le elezioni su questo?
«Non ho ambizioni personali, ma penso che l’esperienza del governo Monti e il suo linguaggio non vadano buttate via. Lavoro in questo senso. È un discorso che va oltre una candidatura. Più che pensare a presentarmi alle elezioni mi muovo a livello di cultura politica. Serve un rinnovamento culturale delle classi dirigenti, altrimenti tutte le riforme di questo mondo non avranno la spinta necessaria per cambiare le cose».
A proposito di elezioni, con le dimissioni della Polverini il suo nome è stato indicato tra quelli dei possibili candidati del centrosinistra alla guida del Lazio. Accetterebbe?
«Penso che il problema non sia un nome da tirare fuori dal cilindro, ma sia un rinnovamento delle classi politiche».
Significa che accetterebbe solo con un progetto serio?
«Far rinascere le classi dirigenti del Lazio è un lavoro lungo e complicato».
La Repubblica 30.09.12
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