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Le donne-sindaco della Locride scuotono il Pd sulla legalità “Unico rimedio all’antipolitica”, di Concita De Gregorio

Questi sono posti dove le teste di maiale non si indossano ai toga party, te le lasciano mozzate sullo zerbino davanti a casa. “E’ un rito arcaico della ‘ndrangheta ma noi qui ci siamo nate e non ci lasciamo impressionare, lo sappiamo che è così”, dice Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno. Dove l’indennità da sindaco, lo stipendio, è di 800 euro al mese che diventano “411 virgola 80 centesimi perché ne lascio la metà al comune per le spese sociali”. Sono paesi e città dove se il boss locale ti spara alla macchina ti danno la scorta, ma – spiega Carolina Girasole, sindaco di Isola Capo Rizzuto – “io non l’ho voluta la scorta, ho detto la scambio per due funzionari bravi per i comune, due giovani assunti per concorso. Risultato: mi hanno tolto la scorta e non mi hanno dato i funzionari”. Il giornale del mattino arriva anche a Decollatura, confine con Lamezia Terme: quando il sindaco Annamaria Cardamone legge l’intervista al capogruppo Pd alla Regione Lazio Esterino Montino, suo collega di partito, che dice insomma, quei due milioni di contributi per le spee erano disponibili, non li potevamo mica dare indietro, ecco quando legge questo il sindaco mormora la cifra due volte poi dice “io le spese le pago di tasca mia, se faccio l’avvocato e compro un libro me lo pago, perché se faccio il sindaco me lo deve pagare la comunità? E’ un lavoro, fare politica, non è mica una rendita”.
Le primarie del centrosinistra bisogna guardarle anche da qui, fra la Calabria e la Sicilia: sono un altro spettacolo. Con gli occhi di questi cinque sindaci che hanno tutti 40 anni tranne uno, sono tutti laureati, tutti sotto minaccia di morte. Sono tutte donne, pensate pure che sia un caso. Tre di loro – Elisabetta Tripodi, Maria Carmela Lanzetta , Carolina Girasole – hanno avuto ieri il premio intitolato a Joe Petrosino ucciso dalla mafia. Lanzetta non è andata a ritirarlo.
“Avevo da lavorare”. E’ la veterana. 57 anni, due figli di 29 e 26. Sindaco di Monasterace, nella Locride, tremila e cinquecento abitanti. Nonni contadini, madre farmacista e padre medico condotto. Liceo classico a Locri, laurea in farmacia a Bologna. “Non era una famiglia femminista, solo che le donne studiavano e basta”. Non iscritta, vota Pd. Eletta sindaco con una lista civica nel 2006, rieletta nel 2011. Il 15 maggio vince le elezioni, il 26 giugno le bruciano la farmacia. Lettere con minacce di morte all’ordine del giorno, a marzo di quest’anno le hanno sparato alla macchina. Vive sotto scorta. “Questo è un paese bellissimo, sul mare. L’area archeologica magno greca più importante del mediterraneo. Facciamo teatro, presentiamo libri. Qui le donne facevano le gelsominaie, mandano avanti l’economia da secoli. Siamo indipendenti, non siamo malleabili. Per me libertà e possibilità di scegliere sono ragioni di vita. Sono calabrese ma sono italiana. Ho bisogno di sentirmi uguale a chi vive a Genova, a Padova. La Locride soffre perché ci tolgono le scuole, l’acqua costa e non ci sono investimenti per le reti idriche. Ho una grande rabbia dentro, enorme. Siamo poverissimi. Non ho i soldi per cambiare le lampadine dei lampioni per strada. I lavori di manutenzione li faccio con la mia indennità. Non chiedo, non mi piacciono i lamenti. Prima di chiedere do. Le prime vittime della ‘ndrangheta siamo noi. La gente è stanca della politica, è disgustata. Le primarie, sì, ho qualcosa da dire al Pd: che sia esempio di persone sane e pulite. Che ascolti, ma ascolta? Vorrei poter votare Berlinguer. E’ bello che ci sia Laura Puppato, una donna, ma il partito ci crede? Se non ci crede bisognerà scegliere Bersani”.
Carolina Girasole, 49 anni, due figlie. Sindaco di Isola Capo Rizzuto, Crotone. 16 mila abitanti. Biologa, laureata a Roma alla Sapienza, aveva un laboratorio di analisi. Comune sciolto nel 2003 per infiltrazioni mafiose, 3 anni di commissario straordinario, poi centrodestra. Vince le elezioni del 2008. “La candidata del Pd non ero io, era la presidente del consiglio comunale ma non hanno trovato l’accordo. Il giorno prima, alle nazionali, ha vinto Berlusconi. Il giorno dopo noi.
Lo slogan era “E’ qui che vogliamo vivere”: abbiamo detto non scapperemo. Vogliamo legalità e trasparenza. In comune quasi nessuno era entrato per concorso, tutti cooptati, inadeguati per numero e capacità. Ho riattivato i concorsi. Il controllo sugli atti. Ci siamo costituiti parte civile per riavere il patrimonio andato ai privati. Abbiamo lottato contro il business dell’eolico, ora il parco è sotto sequestro, uno dei soci era il boss Nicola Arena, è in galera. Stiamo lavorando con Don Ciotti sui terreni confiscati. Hanno bruciato tre macchine, anche quella di mio padre. Mi scrivono minacce di morte sui muri. Ho venduto il laboratorio, perso gli amici, mio marito non ha più clienti. Al posto della scorta ho chiesto due funzionari, non me li hanno dati. Ai colleghi del consiglio regionale del Lazio chiedo che vengano qui sei mesi. Che un po’ di quei due milioni di euro che loro usano per le spese a piè di lista vadano ai ragazzi di Isola, figli di genitori uccisi, o in carcere. Vorrei creare una casa della Musica, il futuro passa dai nostri bambini”.
Anna Maria Cardamone, 48 anni, sindaco di Decollatura. Laureata a Messina in Economia e commercio, specializzata in Inghilterra. Iscritta al Pd dalla fondazione, eletta nel 2011. Cattolica. “Sono tornata in Calabria dopo 15 anni per amore della mia terra. Non c’era nessuna legalità amministrativa. Ho interrotto l’appalto di sempre sui rifiuti, ho lavorato alla trasparenza delle gare. Abbiamo risparmiato molto, così, e assunto 12 persone da decenni precarie sotto ricatto. C’è a chi non piace. Guadagno 1400 euro. Chi fa politica deve essere sobrio e parco, le spese di rappresentanza se le deve pagare ciascuno col suo stipendio. Serve un rinnovamento radicale. L’antipolitica nasce dalla cattiva politica. Ho paura del populismo di Grillo, non mi piace la demagogia di Renzi. Aspetto di sapere meglio di Laura Puppato, in alternativa: Bersani”.
Maria Teresa Collica, 48 anni, un figlio di 5. Sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto, 45 mila abitanti. Laureata in Giurisprudenza a Messina. Docente universitario. “Ho cominciato nel movimento civico ‘Città aperta’ per sostenere Rita Borsellino alle regionali. Abbiamo fondato l’associazione antiracket, combattuto un mega parco commerciale per pericolo di infiltrazioni mafiose. La società faceva capo a Pio Cattafi, avvocato, indicato come terzo livello della Cosa Nostra messinese, ora agli arresti domiciliari. Abbiamo garantito la rotazione nei lavori di acquedotto e fognatura, di conseguenza quest’estate sono saltati tutti i tombini, sabotati. Abbiamo sforato il patto di stabilità e paghiamo una multa. La mia indennità è ridotta del 30 per cento, prendo 816 euro al mese. Ai dirigenti del Pd, il mio partito, dico: fatevi un esame di coscienza, i cittadini sono sfiduciati e giustamente, siamo fuori tempo massimo. La politica non sono calcoli matematici per le alleanze, serve il coraggio di fare scelte. Mi attaccano perché sono una donna. Ora per esempio dicono: è incinta. Non è vero, ma potrei governare anche se fossi incinta, no?. Credo che voterò Puppato”.
Elisabetta Tripodi, 44 anni, due figli di 12 e 16. Sindaco di Rosarno, 15 mila abitanti. Avvocato, laureata a Parma. Eletta dopo il commissariamento per mafia e la rivolta dei migranti. “Sono tornata perché se tutti scappano non cambierà mai nulla, spero che più avanti i miei figli capiscano. Chiamano le donne a fare politica nei luoghi e nei momenti difficili pensando che siano più manovrabili, poi non le possono manovrare e le lasciano sole”. Sotto scorta da un anno. Il boss Rocco Pesce, ergastolano, le ha inviato una lettera scritta a mano e imbucata dal carcere, la busta era di quelle del Comune. “Ci eravamo costituiti parte civile in un grande processo contro la cosca. Abbiamo confiscato la casa di sua madre e suo fratello. Pesce mi ha scritto: lei è così giovane…. Hanno incendiato macchine, tagliato alberi, fatto a pezzi animali. Ma io non posso permettermi di avere paura. Questo è anche il paese delle pentite di mafia, Giusi Pesce e Maria Concetta Cacciola. Tutte queste donne, loro ed io, stiamo combattendo per i nostri figli. Loro per sottrarli a un destino scritto, io perché voglio che restino qui. Certo che vado a votare alle primarie, anche se lo spettacolo visto da qui è desolante. La gente non si fida più di nessuno e ha ragione. Non è l’antipolitica il nostro nemico, è la brutta politica. Chissà se lo capiscono lassù a Roma che serve coraggio. Non è difficile, davvero. Venite a vedere qui da noi: ci sono donne ad ogni angolo di strada che si battono, in silenzio e da sole, come leoni”.

La Repubblica 23.09.12