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"Quando è la satira a dettare legge", di Stefano Bartezzaghi

Con tutta la satira che gira, non pare esserci poi molto da ridere. Un ambasciatore viene linciato a causa di un film torbidamente farsesco e in realtà blasfemo; venti ambasciate vengono prudenzialmente chiuse a causa di alcune vignette del giornale satirico francese Charlie Hebdo in cui è rappresentato Maometto nudo. Proprio in questi stessi giorni in cui Salman Rushdie pubblica le memorie dei suoi ventitré anni sotto protezione, l´importo della taglia che pende dal 1989 sulla sua testa viene aumentato e ora supera i tre milioni di dollari. La fatwa non prevede sconti di pena per buona condotta. Anzi. Eppure dai Versetti satanici alle vignette satiriche qualcosa pare essersi addirittura aggravato, e non solo in via quantitativa, cioè per la moltiplicazione degli episodi.
Quanto c´è di più è abbastanza da diventare anche qualcosa di diverso. «Oggi scriverei di peggio» ha infatti dichiarato, con mestizia, Rushdie; poi ha aggiunto «oggi però il mio libro non verrebbe neppure pubblicato».
Gesù Cristo rideva? Tutt´altro che futile, nel Medioevo l´ipotesi è stata oggetto di dispute feroci, e nel suo Nome della Rosa Umberto Eco l´ha usata per rappresentare lo scontro (forse eterno) fra pensiero impermeabile e pensiero non impermeabile alla visione dell´Altro, capace o incapace di distanza autocritica e di tolleranza nei confronti della diversità. Ma un anno prima dell´uscita del Nome della Rosa, quindi nel 1979, l´instaurazione del regime degli ayatollah in Iran si apprestava già a fare collidere la tradizionale intolleranza delle religioni nei confronti di ogni irriverenza con le dinamiche, misteriose e certamente poco razionali, di tutte le società di massa. Tanto misteriose e irrazionali da determinare, a decenni di distanza, un nuovo scontro in cui a cambiare è con ogni evidenza il ruolo delle opinioni pubbliche.
In una guerra, non sempre tiepida, combattuta da testate non nucleari bensì satiriche, un esercito di sacchi di patate affranti sui propri rispettivi divani osserva dal video eserciti di assaltatori di ambasciate, incendiari di bandiere, fomentatori che occupano vie di quella che pare sempre la medesima, arida e macilenta banlieue estremo – o mediorientale.
Quello che è cambiato dai tempi di Rushdie (quando persino un romanzo sofisticato pareva poter minacciare il carisma di una religione) è che l´opinione pubblica, anche nell´Occidente scolarizzato, è preda dell´Intrattenimento e si muove ormai a singulti. Solo il riso o il pianto e la rabbia sembrano saperlo scuotere. Così chi sa far ridere ha acquisito un potere inedito, nelle due direzioni: fa a meno di ogni mediazione editoriale e si rivolge direttamente a pubbliche opinioni contrapposte, muovendone una al riso e l´altra all´indignazione, sino alla sollevazione armata. È l´empatia, honey: e non puoi farci proprio nulla.
Proviamo a verificare l´ipotesi nel piccolo, e almeno finora incruento, orticello italiano: persino il caso Fornero-Vauro mostra che la satira ha una capacità lesiva superiore a quella di un movimento di protesta. Ti ho disegnato come una squillo, ti sei arrabbiata, ci sei caduta. Non penserai davvero che io pensi davvero che sei una squillo? Era solo una vignetta! Chi viene messo in ridicolo non ha possibili vie di fuga, se non vuole passare da zimbello ad aspirante censore (e di qui, di nuovo, a zimbello). Il racconto è accompagnato o preceduto dalla satira. Crozza apre Ballarò, da anni; da anni Santoro non fa tv senza i suoi T. e V., Travaglio e Vauro. E se una volta, già sbagliando, si diceva «la vignetta di Forattini vale un editoriale» oggi abbiamo inserti satirici che valgono (e vengono venduti come) giornali quotidiani. Le pratiche satiriche della deformazione dei “dati sensibili” della persona (caratteristiche fisiche, nomi e cognomi) sono parificate al commento e alla polemica, come se l´obiezione critica fosse uno sfregio privo di coraggio, poco efficace (quindi indulgente e in odore di inciucio) e alla fine, diciamolo, anche poco virile.
Castigat ridendo mores, era l´insegna della satira. Ora che in una nuova e incresciosa crociata viene impiegata per castigare, ridendo, i Mori forse dovremmo rivedere le nostre vecchie opinioni sul potere liberatorio, dissacratorio, critico e ironico della risata. La maglietta di Calderoli non ha insegnato nulla? Magari si potrebbe operare una distinzione, piccola e cruciale, fra il diritto di informazione e quello di deformazione. È diverso non poter diffondere una notizia, avanzare un´opinione o esibire una vignetta di intangibile idiozia. Nella storia è stato possibile chiedersi se fosse il caso di morire per Danzica. Figurarsi per Charlie Hebdo.

La Repubblica 21.09.12