Questa storia dei referendum rischia di combinare guai seri. La destra ha lasciato in eredità la decomposizione della politica e lo sfilacciamento della società. L’unico argine alla caduta del paese passa ora attraverso la ricostruzione di una sinistra coesa che tamponi la cecità rovinosa mostrata dalla borghesia italiana. Con i loro media omologati, i poteri economici e finanziari civettano sempre più con l’antipolitica. Anzi, la alimentano per servirsene come un’arma per bloccare il cambiamento e ottenere, in nome dell’emergenza, il commissariamento del governo.
Oltre che dai nemici esterni, che sono ricchi, agguerriti e capaci di costruire con la loro fabbrica della deviazione semantica un senso comune ostile alla politica, la sinistra deve però guardarsi anche dai suoi brutti malanni interiori. Le primarie, così come sono da taluni interpretate, cioè come un duello tra rottamazione e referendum di classe, non mostrano un senso costruttivo e rigonfiano anzi un male oscuro pronto a favorire la perdizione. La ragione sobria della politica, che persegue una sintesi culturale alta per governare una ardua transizione di sistema, è sfidata dal virus dell’antipolitica.
Con il vento maligno delle primarie trionfano uno stile falso della semplificazione e un dialetto della banalizzazione, figli di un tempo degenerato da combattere. Le metafore sulla rottamazione o l’uso della clava referendaria appartengono entrambe a questa deriva populistica che strapazza l’analisi politica e amplifica la ricerca di una visibilità a buon mercato. Dominano perciò il gesto plateale, le scappatoie furbesche che più assicurano la differenziazione su temi simbolici. Il referendum sull’articolo 18 non solo reintroduce i macabri squarci che nel 2008 provocarono la caduta di Prodi (con ministri di piazza e di palazzo) ma manipola il corso reale degli eventi. Mette infatti in sordina i significativi miglioramenti che, dopo un duro braccio di ferro con il governo, portato da Bersani ai limiti della crisi, il Pd riuscì a ottenere, ispirandosi al modello tedesco.
In generale, lo spazio della legge, dell’intervento autoritativo, andrebbe ridimensionato per affidare le relazioni sindacali al libero conflitto tra le parti sociali o alla pratica della concertazione. Certo il referendum sulle materie del lavoro non può essere uno strumento agitato per accaparrarsi qualche manciata di voti ai gazebo. Non si gioca in maniera così spregiudicata sulla pelle del lavoro, che versa in una condizione drammatica. Le classi lavoratrici hanno bisogno di unità, non sanno che farsene di una artificiale linea di rottura tra i partiti e i sindacati.
La sinistra radicale sembra essere caduta nella trappola tesa da Di Pietro. Con il terzo referendum per ora tenuto in ombra, ma che in realtà diventerà presto qualificante per attirare la partecipazione dei cittadini alle urne, quello contro la casta, contro il finanziamento pubblico della politica, la sinistra radicale accetta di tramutarsi in una imbarazzante ruota di scorta del populismo. Che tristezza vedere il nucleo più combattivo della classe operaia italiana, la gloriosa Fiom, arruolato nella banda dell’antipolitica che, con il referendum contro la casta, marcerà di sicuro al fianco di molti imprenditori già ora con l’elmetto pronto!
Di Pietro, si sa, non è di sinistra, e nemmeno di centro o di destra. È solo un populista astuto che sa giocare il suo ruolo di guastatore per sopravvivere ancora un po’ sulla scena. Per questo, mentre in Italia recita le prove tecniche di un biennio rosso alle porte, in Europa fa parte organica del gruppo liberale. A Bruxelles è in compagnia delle formazioni più ultraliberiste e antisolidaristiche del vecchio continente, che sono al governo con la Merkel e con Cameron.
La sinistra non può stare al gioco del populista. La sua leadership più seria deve in gran fretta recuperare il mestiere della grande sintesi, della proposta politica innervata dalla analisi e dal pensiero. Per sconfiggere il populismo che è fuori e che dal governo ha distrutto l’Italia, occorre anche guardarsi dal populismo che cerca di insinuarsi dentro, e che pretende di trasformare le primarie in una grande opera di distruzione nichilista.
L’Unità 13.09.12