La crisi non è finita e non finirà tanto presto. Da finanziaria è divenuta economica e sarà sempre di più sociale. La crisi è più difficile da gestire in Europa, perché qui le istituzioni sono frammentate e incompiute e la politica, almeno in alcuni Paesi, è più debole e priva di visione strategica. Questo, molto sommariamente, è il contesto in cui ci troviamo. In Italia, per affrontare questa situazione, aggravata dalla degenerazione del berlusconismo, si è fatto ricorso a un «governo tecnico», che, aldilà dei meriti e demeriti, mi pare abbastanza evidente che abbia perso il suo impeto originario. L’interpretazione che, dopo la parentesi «tecnica», torna la «politica» è ormai svuotata di contenuto, per il semplice fatto che i problemi sono ancora tutti lì sul tavolo e, anzi, altri se ne aggiungono. È molto probabile che non potesse essere diversamente, ma comunque di tutto questo bisogna tener conto, perché la contesa in vista delle prossime elezioni non si svolge in condizioni di presunta ritrovata normalità. In questo quadro, l’idea che l’iniziativa politica del principale partito italiano, candidato a guidare il Paese, e della non ancora ben definita coalizione di centro-sinistra ruoti attorno allo svolgimento di elezioni primarie per la scelta del candidato premier, appare incongrua e sono molto scettico sul fatto che la campagna precedente tali elezioni darebbe un significativo contributo in termini di proposte politiche e contenuti programmatici. Personalmente ritengo che bisognerebbe tornare a fare politica nel senso più ampio e pieno del termine.
Ciò che penso è questo: Pier Luigi Bersani dovrebbe azzerare la questione della candidatura alla Presidenza del Consiglio, togliendosi dalla mischia e recuperando un ruolo centrale di regia politica per progettare il futuro del nostro Paese e dell’Europa. La priorità dovrebbe essere data al lavoro di messa a punto di un programma fondamentale pluriennale per l’uscita dalla crisi, alla definizione del perimetro dell’alleanza politica che avrebbe il compito di sostenerlo e, infine, alla individuazione di un nome o di una ristretta rosa di nomi per presiedere il governo, scegliendo una procedura originale e condivisa.
Per avviare questo processo, si potrebbe cominciare ad aprire un tavolo di confronto preliminare, pubblico, trasparente e ad ampio spettro politico, con la sola discriminante della esclusione della destra berlusconiana. Obiettivo: dare all’Italia un governo per le riforme solido e duraturo, con un’ampia base parlamentare e un patto di legislatura chiaro, volto a coinvolgere le forze sociali e le più qualificate personalità del Paese.
Un governo di rigenerazione democratica. È chiaro che una simile strategia è passibile di insuccesso: nel rischiare è sempre contemplato il fallimento, ma il punto è ciò che rimane dopo. In questo caso, se tutto ciò non andasse a buon fine, ciascuno riprenderebbe la sua autonoma iniziativa, ma il Pd e il suo segretario avrebbero dato un segnale di responsabilità politica al Paese, che potrebbe dare forza e portare consenso.
da Europa Quotidiano 06.09.12