Prima giornata di selezione nelle facoltà italiane e prime polemiche. Nei prossimi giorni si terranno le prove per l’accesso ad architettura (domani), a veterinaria (lunedì 10) e ai corsi per le professioni sanitarie (ostetrici, logopedisti, infermieri, l’11 settembre), intanto ieri all’apertura dei test di medicina e odontoiatria in tutta Italia si sono registrati sit – in e proteste. È il numero chiuso a far discutere, come ogni anno, ma anche il fatto che oggi sembra anche uno dei pochi modi che hanno gli atenei per far cassa. Le quote d’iscrizione alle prove variavano infatti dai 27 euro di Padova all’Università del Molise che ne voleva 120, al caso di Napoli, i cui due atenei cittadini chiedevano 50 e 100 euro. Soldi richiesti a una platea vastissima di giovani che si gioca il proprio futuro come una terna al lotto. A medicina, per esempio, per circa 10mila e 73 posti messi a bando si sono iscritte ai test oltre 70mila persone. Riuscirà a studiare da medico una persona su 8, gli altri tenteranno il prossimo anno o si inscriveranno a facoltà alternative. «Spesso ci si dimentica di tutti coloro che non riescono a passare il test e che purtroppo vengono esclusi da ogni processo formativo – dicono i portavoce di Link, coordinamento di studenti che ha organizzato ieri le proteste davanti agli atenei di Roma, Bari, Padova, Milano, Pisa, Siena il superamento dei test dipende spesso solo dalla fortuna. Inoltre oggi di fronte ad una diminuzione delle immatricolazioni dell’8% nell’ultimo anno, una disoccupazione giovanile al 34% e un numero di precari in costante aumento negli ultimi anni dobbiamo riaprire l’università, oramai un corso su due prevede il superamento di test d’ingresso a sbarramento. Ha senso continuare a bloccare l’accesso all’università quando invece gli stessi parametri europei ci impongono di raggiungere il 40% dei laureati entro il 2020?». «Gli studenti – nota Michele Orezzi, coordinatore dell’Udu non solo non saranno liberi di poter scegliere il loro futuro, per giunta dovranno sostenere una prova che da anni si mostra fallace sia nel metodo che nei contenuti. Si tratta di un vero e proprio divieto all’accesso al sapere». Ma stronca il concetto di numero chiuso anche la presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera, Manuela Ghizzoni, del Pd. «I test di ingresso sono il campanello d’allarme della crisi del sistema della conoscenza causato delle inadeguate politiche scolastiche e universitarie degli ultimi anni. Sembrano essere scelte determinate più da problemi organizzativi che da valutazioni sulla capacità del mercato di assorbire nuovi laureati. In un contesto di tagli agli atenei – spiega Ghizzoni – i test sono la copertura per non risolvere alla radice alcuni i problemi dell’università e della scuola». Ed è “no” anche per le associazioni dei consumatori, da Federconsumatori a Adusbef al Codacons che minaccia una class action dei non ammessi, qualora la Corte Costituzionale definisse il numero chiuso incostituzionale e lesivo del diritto allo studio. «Da sempre siamo stati contrari a questo sistema – sottolineano Rosario Trefiletti e Elio Lannutti (rispettivamente Federconsumatori e Adusbef) rappresenta un ostacolo (non sempre giustificato) all`accesso agli studi: una logica che assomiglia molto a quella degli ordini professionali, che si configurano come vere ‘caste’». Studenti.it invece, guida la cordata di chi si sofferma sull’effettiva utilità dei test. «Questo metodo di selezione taglia le gambe a giovani che potrebbero avere le carte in regola per diventare degli ottimi medici spiegano dal noto portale Lo ha dimostrato il primario Giuseppe Remuzzi, nefrologo di fama internazionale che, sottoposto ad una simulazione di test, ha commesso 15 errori e quindi non sarebbe stato ammesso alla facoltà di Medicina. Perché non consentire a tutti di entrare e fare in modo che sia il tempo a selezionare i più capaci?
L’Unità 05.09.12