La proposta di nomina di Lorenza Lei è arrivata in mezzo ad altri avvicendamenti più o meno di routine. Ma la Sipra è la concessionaria di pubblicità dell’azienda, il suo polmone finanziario, raccoglie all’incirca metà dei suoi ricavi e dunque rappresenta uno dei due pilastri fondamentali, insieme al canone d’abbonamento, su cui si regge ancora il nostro malandato servizio pubblico radiotelevisivo.
Degradata in pochi mesi da “signora di ferro” a “signora di latta”, alla guida della Rai Lorenza Lei ha deluso le aspettative interne ed esterne, dilapidando rapidamente un’apertura di credito che anche noi, su questo giornale, le avevamo accordato all’inizio dell’incarico in funzione dell’esperienza e della fedeltà aziendale. Sotto la sua direzione, è stata portata a termine l’operazione di “pulizia etnica” già avviata da Mauro Masi su mandato del governo di centrodestra, sottraendo alla Rai professionalità, ascolti e quindi risorse economiche. Alla fine i conti dell’azienda, chiusi formalmente con un piccolo attivo, nascondono in realtà un passivo di bilancio che sarà arduo risanare.
C’è da aggiungere poi che, proprio durante il mandato della signora Lei, la stessa Sipra ha accusato un calo vistoso nella raccolta pubblicitaria, tanto da indurre ora la nuova direzione generale a esonerare l’amministratore delegato della stessa concessionaria, Aldo Reali. È vero che in questa difficile congiuntura tutte le aziende editoriali stanno risentendo pesantemente della crisi, a cominciare da Mediaset. Ma non si può licenziare come un capro espiatorio il responsabile della filiale o della succursale e nel contempo promuovere l’ex dirigente della casa madre: o sono sbagliate tutte e due le scelte oppure, se è giusta la prima, vuol dire che comunque è sbagliata la seconda.
Le motivazioni addotte confidenzialmente da Gubitosi al Consiglio di amministrazione, ammesso che siano autentiche e fondate, non fanno che accrescere le preoccupazioni in ordine alla gestione della Rai. Se Lorenza Lei ha uno stipendio molto alto e non è agevole assegnarle un altro posto adeguato, questa non è evidentemente una ragione valida per consegnarle le chiavi della cassaforte aziendale. E il fatto che lo stesso direttore generale si proponga come presidente della Sipra, quasi a garantire come un “tutor” l’amministratrice delegata, aggiunge l’ulteriore incognita di un doppio incarico che incombe sul futuro del servizio pubblico.
Per completare il quadro, è necessario forse ricordare che sul piano dell’audience e della pubblicità la Rai deve contendere il terreno a Mediaset? E che la signora Lei è notoriamente gradita al centrodestra e al suo padre-padrone? Non c’è il rischio, insomma, che la Sipra diventi sotto la sua guida uno “sleeping partner” di Publitalia o – per essere ancora più espliciti – un suo arrendevole concorrente?
Non sono interrogativi che riguardano soltanto il mercato e il pluralismo televisivo. Coinvolgono l’intero sistema dell’informazione italiana, il suo equilibrio complessivo, i vecchi e i nuovi media. E dunque, l’assetto generale di un settore nevralgico per la libertà di espressione, per la formazione e l’aggregazione del consenso.
È sotto gli occhi di tutti il colossale flop del passaggio al digitale terrestre, imposto dal centrodestra e introdotto nel modo più affrettato e maldestro per favorire la concentrazione televisiva che fa capo all’ex premier-tycoon. Quel disastro porta inequivocabilmente il nome di un esecutore materiale: l’ex ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri. Ma il mandante è senz’altro Silvio Berlusconi, con alle spalle la sua azienda-partito, i suoi affari privati e familiari. In tempi di lacrime e sangue, di sacrifici per tutti, di tagli e spending review, non è accettabile che il “governo dei tecnici”, o chi ne discende, s’inchini alle ultime volontà del regime televisivo e a quell’indecente conflitto d’interessi su cui storicamente fu fondato.
La Repubblica 04.09.12