Oso pensare che sia stato un momento sereno o addirittura felice quello di Carlo Maria Martini quando ha deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita e consentirgli di entrare nel cielo delle beatitudini, se Dio vorrà. Ne abbiamo parlato spesso nei nostri incontri. Lui diceva che la sua fede era salda ma si confrontava ogni giorno con i dubbi. Non sulla fede ma sul modo di usarla, di farla vivere con gli altri e per gli altri. La fede – così diceva – è al tempo stesso contemplazione e azione, ma sono due movimenti dell´anima intimamente collegati. La contemplazione è solitaria, l´azione è solidale e pastorale.
Io, da tutt´altro punto di vista, obiettavo che il dubbio sull´azione finisce per coinvolgere la fede nella sua interezza. Lui, quando gli feci quest´osservazione, rispose che infatti ogni giorno chi ha fede deve riconquistarla; questo è il compito del cristiano e in particolare del vescovo, successore degli apostoli: mettere la sua fede al servizio degli altri, quindi metterla in gioco e insieme agli altri, insieme alle pecore smarrite, riconquistarla.
Un giorno gli domandai quale fosse per lui il momento culminante della vita di Gesù: il discorso della montagna, oppure l´ultima cena o la preghiera nell´orto del Getsemani o l´interrogatorio dinanzi a Pilato o le «stazioni» della Passione o infine la crocifissione e la morte. «No – rispose – il momento culminante è la Resurrezione, quando scoperchia il suo sepolcro e appare a Maria e a Maddalena. E poi, trasfigurato, agli apostoli ai quali affida il compito di andare e predicare».
Martini è andato e ha predicato; si è confrontato, ha privilegiato i giovani preti e i laici più lontani ed ha considerato la morte come l´attimo in cui si varca la porta che conduce alla contemplazione eterna nella luce del Signore. L´anima abbandona il corpo dov´era rinserrata, ha fatto l´esperienza dei peccati, si è misurata con le tentazioni, ha pregato per gli altri in attesa di quel momento supremo. Per questo oso pensare che decidere di andare in pace sia stato l´attimo felice della sua vita.
Io non ho la fede nell´oltremondo e non la cerco. Lui lo sapeva e non ha mai fatto nulla per convertirmi. Non era questa la sua pastoralità, almeno con me. Voleva offrirmi la sua esperienza e forse utilizzare la mia. Ma quale esperienza? Non certo quella del mondo ma quella dell´anima, degli istinti, dei sentimenti, dei pensieri.
L´ultima volta che ci siamo incontrati, lo scorso inverno, gli portai il mio ultimo libro intitolato a Eros che non è certo una divinità cristiana. Lui non parlava già più, sussurrava e il suo assistente don Damiano leggeva il moto delle sue labbra e lo traduceva. Ma dopo aver rigirato tra le mani tremanti il libro, mi chiese (e don Damiano tradusse) se il protagonista del libro fosse l´amore e io risposi che sì, era un libro sull´amore e soprattutto l´amore per gli altri. E lui fece sì con la testa, per dire che gradiva il dono.
L´amore per gli altri è il modo che Gesù indicò come il solo che conduce a Dio, la «caritas» l´«agape». Quello è il compito della Chiesa apostolica: la «caritas» per arrivare a Dio attraverso il figlio che si è fatto uomo.
Quando ci lasciammo lui mi sussurrò nell´orecchio: «Pregherò per lei» e io risposi: io la penserò. E lui sussurrò ancora: «Eguale».
Oggi penso molto a lui. Lui, nell´immagine di quell´attimo finale, ha certo pensato che stava varcando la porta della vita eterna. E io penso che lui l´abbia pensato e questo mi consola della sua perdita.
La Repubblica 01.09.12
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“UN UOMO DI DIO”, di VITO MANCUSO
Chi è stato Carlo Maria Martini? Si può rispondere dicendo un cardinale per lungo tempo papabile, l´arcivescovo per oltre vent´anni di una delle più grandi diocesi del mondo, il presidente per un decennio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.
un biblista all´origine dell´edizione critica più accreditata a livello internazionale del Nuovo Testamento (The Greek New Testament), il rettore di due tra le più prestigiose istituzioni accademiche del mondo cattolico (Università Gregoriana e Istituto Biblico), un esperto predicatore di esercizi spirituali a ogni categoria di persone, un gesuita di quella gloriosa e discussa Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola, un autore con una bibliografia sterminata in diverse lingue, e altre cose ancora. Ma la risposta che coglie la peculiarità della sua persona si ottiene dicendo che fu un uomo di Dio.
Il tratto essenziale della sua persona e del suo messaggio è tutto contenuto nel titolo del primo documento programmatico che egli indirizzò alla diocesi di Milano all´inizio del suo episcopato nel 1980: La dimensione contemplativa della vita. A questo obiettivo egli ha educato con i suoi insegnamenti, e ancor più con tutta la sua persona, con la voce, lo sguardo, il portamento. Accostare Martini significava infatti intravedere quanto di più alto può dimorare nel petto di un uomo, ovvero l´intelligenza che serve incondizionatamente il bene e la giustizia e che non cessa mai, neppure di fronte alle assurdità e alle tragedie del vivere, di nutrire una singolare speranza nel senso e nella direzione della vita. Se l´espressione “nobiltà dello spirito”, tanto cara a Meister Eckhart e a Thomas Mann, significa qualcosa, questo è il tentativo di descrivere l´esperienza suscitata dall´incontro con persone come Martini, profondamente uomini ma anche così diversi da ciò che è semplicemente umano, del tutto trasparenti ma non privi di silente mistero.
Martini è stato tra gli esponenti più significativi di ciò che viene solitamente definito cattolicesimo progressista, quell´ideale cioè di essere cristiani non contro, ma sempre e solo a favore della vita del mondo. In questo egli ha rappresentato uno dei frutti più belli del Concilio Vaticano II e di quella stagione che credeva nel rinnovamento della Chiesa in autentica fedeltà al Vangelo di Cristo, senza più nessun compromesso con il potere. Ora che egli è morto, quella stagione si allontana sempre di più e si fanno sempre più rare, nel mondo cattolico italiano, le voci profetiche. Ma proprio a proposito di profezia, è necessario sottolineare la sua libera autodeterminazione di affrontate la morte in modo del tutto naturale, senza sondini nasogastrici o altri apparecchi del genere messi a disposizione dalla tecnica, nella piena fiducia di chi sa che sta per entrare in quella dimensione eterna che la fede chiama “casa del Padre”.
Mi sia concesso infine un ricordo personale di colui che è stato il mio padre spirituale. Se io infatti iniziai a vivere seriamente la fede cristiana, fu prevalentemente a causa sua: in quanto vescovo della mia diocesi, egli faceva risplendere nella mia giovane mente di liceale l´ideale cristiano. Ciò che mi conquistò, fin dai suoi primi discorsi che leggevo o ascoltavo, fu il linguaggio. Prima ancora delle cose che diceva, ciò che catturava la mia giovane attenzione era il modo con cui le diceva, del tutto privo di retorica ecclesiastica ma al contempo così diverso rispetto al linguaggio quotidiano, un modo di parlare che sapeva far percepire un altro mondo senza essere “dell´altro mondo”. Le sue parole erano semplici ma severe, comprensibili ma profonde, elementari ma arcane, e soprattutto riferite sempre alle cose e alle situazioni, mai dette per se stesse, per far colpo sull´uditorio. Io ero poco più di un ragazzo e certamente allora non avrei saputo dire nulla delle caratteristiche del suo linguaggio, ma ne percepivo dentro di me l´autenticità esistenziale, avvertivo uno stile diverso, per nulla ecclesiastico ma non per questo privo di sacralità, anzi tale da farmi sentire che c´era veramente qualcosa di sacro nell´esistenza concreta degli uomini che andava servita con rettitudine, intelligenza e amore. E questo Carlo Maria Martini ha fatto, in fedeltà a Dio e agli uomini, per tutta la sua lunga vita.
La Repubblica 01.09.12