Da anni, ormai, l’appuntamento del meeting di Rimini è l’occasione per aggiornare l’organigramma del potere politico in corso. Ha ragione l’editorialista di Famiglia Cristiana a segnalare che tutti i governanti in carica sono passati da Rimini, ogni volta generosamente applauditi dai militanti ciellini e soprattutto dai loro leader. Certo, per poter continuare a dichiararsi al di fuori dei partiti, e per non trascurare nessuna possibilità di alleanza con chi conta, i ciellini di volta in volta invitano anche qualche selezionato esponente dell’opposizione. Ma ciò che impressiona, in un movimento che si legittima come ispirato innanzitutto da motivazioni religiose, che vuole mettere al servizio anche di un progetto di società, è la forte attrazione, passione direi, per il potere politico e per chi lo detiene. È una passione che viene da lontano. Se ne possono trovare tracce già negli approcci che don Giussani faceva ancora negli anni Sessanta con alcune correnti democristiane, in particolare quella di Flaminio Piccoli, in un gioco tutto interno all’allora inaffondabile partito di governo. La commistione religione politica è già nelle origini del movimento di don Giussani. Con la nascita di Cl, movimento ormai non più solo di studenti, ma di un pezzo di società civile ed economica, e la fine della Democrazia cristiana, la ricerca delle alleanze e le reciproche richieste/offerte di legittimazione si sono sviluppate a tutto campo e con maggiore spregiudicatezza. Da Giulio Andreotti, grande e mai ripudiato patron fin dalle origini dei Meeting, a Pier Luigi Bersani, da Romano Prodi a Silvio Berlusconi fino a Mario Monti e Corrado Passera, tutti sono passati da Rimini, ricevendone consensi e applausi. Ad ogni giro di walzer, ad ogni cambio di cavaliere politico, Cl e i suoi leader si buttano alle spalle quello immediatamente precedente. Felicemente immemori, espungono da sé ogni sospetto di corresponsabilità per progetti e alleati pure entusiasticamente abbracciati e lodati l’anno prima. È con questa assoluta mancanza di autocritica che oggi viene data per esaurita la Seconda repubblica e vengono parzialmente (ma non troppo, perché non si sa mai) offuscati i suoi leader, che fino allo scorso anno occupavano il centro della scena. Che Cl abbia fornito legittimazione a molti leader della Seconda repubblica e ai governi di Berlusconi, traendone non pochi vantaggi sul piano economico e della diffusione delle proprie aziende, scuole, iniziative varie, non è neppure menzionato, tanto meno fatto oggetto di riflessione critica in pubblico. Anzi, c’è, appunto, la corsa a cercare nuove alleanze per proseguire come prima, sotto la parola chiave di sussidiarietà. L’unica presenza che imbarazza un po’, ma neppure troppo, è quella di Roberto Formigoni che rischia di diventare il capro espiatorio e l’agnello sacrificale con cui Cl si libera – provvisoriamente – da vicinanze diventate scomode.
Va detto che al cinismo di Cl corrisponde quello dei politici “amici” di turno. Nessuno si sottrae. Non lo ha fatto l’anno scorso neppure Giorgio Napolitano, anche se ragioni di garanzia istituzionale e di universalismo avrebbero potuto sconsigliare un tale forte atto di riconoscimento e legittimazione a quello che è un movimento (anche) politico di parte, per quanto ondivago. Tutti vanno in passerella per strappare l’applauso e cercare consenso. E pazienza se questo è, come si è visto, effimero e sempre revocabile sulla base degli interessi molto materiali e poco spirituali dei leader del movimento, senza che la base, apparentemente, si faccia venire qualche dubbio su giri di walzer spesso molto vorticosi.
Monti e Passera non sono diversi da chi li ha preceduti su quella passerella. Anche se, da chi ha fatto della propria “tecnicità” legittimata dalla competenza una specie di mantra, talvolta anche un po’ arrogante nei confronti sia della politica che dei cittadini, ci si sarebbe aspettati un po’ più di sobrietà e di concretezza e meno fumo. Sentirsi dire che c’è la luce in fondo al tunnel suona un po’ come una presa in giro ai milioni di italiani e alle loro famiglie alle prese con la crescita esponenziale della cassa integrazione, alla difficoltà dei giovani di trovare un lavoro e un salario decente, alla difficoltà di molte donne non solo a tenere un lavoro, ma a conciliarlo con la presenza di responsabilità di cura in città costrette a tagliare servizi (e posti di lavoro) che erano già insufficienti. Sono espressioni da campagna elettorale, non da tecnici-politici responsabili e non attratti dalle sirene di un consenso tanto facile, quanto effimero.
La Repubblica 22.08.12