Rischio insolvenza per migliaia di imprese,secondo la BCE, anche per 75 miliari di debiti statali mai onorati malgrado le promesse governative. Centinaia di aziende sull’orlo del fallimento per calo di domanda (tra le ultime la Windjet). E a Taranto il giudice ribalta la sentenza che autorizzava il risanamento con impianti in marcia. Sono solo gli ultimi esempi di una serie di insuccessi, fallimenti, cali produttivi, con effetti occupazionali disastrosi che colpiscono un tessuto economico sfibrato da anni di politiche anti produzione, anti domanda, anti lavoro, anti equità. Non può esistere un’Europa con una Maastricht giustamente rigorosa per i conti pubblici e nessun riguardo per la salute dei popoli. Come non può esistere un contesto finanziario anteposto sempre al mondo economico-produttivo. Questo non può non produrre gli effetti sociali che sono sotto i nostri occhi e che producono il più basso tasso di occupazione europeo e il più alto tasso di diseguaglianza. Quando il 45% della ricchezza è nelle mani del 10% delle famiglie, è delittuoso che si pongano tanti ostacoli ad una patrimoniale per i super ricchi, che non deprimerebbe affatto la domanda, come è ben noto agli esperti. Quando sono occupati meno di 57 cittadini ogni 100 in età da lavoro (in Europa sono più di 64) significa che mancano almeno 3 milioni di posti lavoro per essere a livello europeo. In queste condizioni di disperazione sociale non ha alcun senso consolarsi con il nostro tasso di disoccupazione lievemente inferiore a quello europeo, intorno all’11%. Perché è un dato falsato che ci dice solo che milioni di italiani sono, come dice l’Istat da anni, «scoraggiati dal cercare un lavoro che non c’è» e prendono altre vie di sopravvivenza: emigrazione, lavoro nero e precario o aiuto dei genitori. In questa situazione però non si vede un Di Vittorio che, come nel primo dopoguerra, invochi un Piano straordinario per il lavoro per trasformare le macerie in più solidi edifici. La situazione italiana dei giovani, delle famiglie povere, del Sud e dei disoccupati è così drammatica che non ci si può semplicemente battere contro l’attacco dei mercati aspettando che da Berlino e Francoforte arrivino scudi antispeculazione più solidi. Questo va fatto, ma non basta più alla salute del Paese. È ora che le forze politiche e sociali spremano le meningi e varino un piano de lavoro, come quello che fece Roosevelt dopo la crisi del 1929. Un piano di opere pubbliche, incentivi alle cooperative sociali e culturali di cui c’è gran bisogno, un piano di incoraggiamento alle nuove iniziative imprenditoriali giovanili come il primo varato venti anni fa nel Mezzogiorno, un piano di defiscalizzazione dei salari che rilanci un po’ di domanda senza ammazzare le imprese, un sostegno alle iniziative «green», non solo in senso ambientale ma anche sociale, culturale e della ricerca. Un piano che, dopo aver aiutato le imprese industriali con un minimo rilancio della domanda ed uno straccio di politica industriale assente da anni guardi con attenzione ai servizi che con la loro inefficienza e alti costi penalizzano sia il sistema produttivo che l’occupazione. Da più di venti anni non c’è Paese industriale dove l’occupazione non cresca solo nei servizi. Da noi tutti i servizi sono un campo aperto alle più basse speculazioni, con imprenditori interessati solo a settori come autostrade ed elettricità. Perché le nostre imprese devono pagare energia e trasporti il 20% più dei concorrenti? Perché nel turismo, noi leader da secoli andiamo sempre più indietro? Perché l’Italia ha meno del 70% di occupati nei servizi contro il 75%-80% degli altri Paesi industriali? È ora di cominciare ad operare per una Maastricht dell’occupazione, se non è già troppo tardi. Se non ora quando?
L’Unità 12.08.12