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"Quote rosa, la spallata nei palazzi del potere", di Michela Marzano

«Crederò all’uguaglianza tra gli uomini e le donne solo quando vedrò una donna incompetente occupare un posto di responsabilità», disse un giorno Françoise Giroud, famosa in Francia per essere stata la prima donna ad occupare il posto di ministro delle Pari opportunità negli anni ’70. Si trattava ovviamente di una battuta. Perché uno dei problemi di fronte cui ci troviamo da sempre è proprio l’incompetenza di tanti nostri responsabili, che si tratti del mondo politico, economico o culturale. Una battuta di pessimo gusto, si potrebbe aggiungere oggi in Italia, dopo la triste esperienza delle veline in politica degli ultimi anni. Eppure, come accade spesso, dietro la battuta si cela una grande verità. Visto che ancora oggi le donne, a parità di titoli, sono meno occupate, più precarie e meno pagate degli uomini. E che sono molto rare coloro che arrivano ai vertici decisionali. Le donne che riescono a farlo, devono ancora oggi dimostrare di essere “eccezionali”, “perfette”: capaci di impegnarsi di più, di fare di più, di controllare di più… sempre “qualcosa in più” rispetto agli uomini. Allora sì, nonostante i progressi degli ultimi quarant’anni, siamo ancora lontani dall’uguaglianza. Quella che dovrebbe permettere a tutti, uomini e donne, di occupare posizioni di rilievo anche se non sono “perfetti” o “eccezionali”.
Certo, la situazione della donna comincia a cambiare anche in Italia. Possiamo essere fieri di avere oggi al governo tre donne che occupano ministeri “di peso” (Interno, Giustizia e) Welfare). E non possiamo che accogliere con gioia la decisione del Consiglio dei ministri sulle “quote rosa” nei Cda delle società a controllo pubblico. Visto anche che il ministro Fornero ne ha approfittato per insistere sulla necessità di rendere effettiva la partecipazione delle donne anche in politica. Questo tipo di decisioni sono infatti un passaggio obbligato perché l’uguaglianza uomo/donna si concretizzi. È la lezione che ci viene dai paesi del Nord Europa, ma anche dagli Usa, che considerano che l’unico modo per combattere le discriminazioni sia quello di ricorrere alle “azioni positive” (affermative actions), ossia opporre alle “discriminazioni esistenti” delle “discriminazioni positive”. Basta tuttavia imporre delle “quote rosa” perché le donne non si scontrino più con tanti ostacoli di ordine amministrativo, economico e sociale?
Per molto tempo la soluzione delle “quote rosa” mi ha lasciato perplessa. Ho spesso citato Montesquieu e la sua lucidità sull’impatto che le leggi possono avere sulla società. Per l’autore de L’esprit des lois, non bisogna cambiare i costumi attraverso le leggi, ma le leggi attraverso i costumi. Quando si vuole trasformare una società e modificare i comportamenti individuali e collettivi, il modo più efficace non è cambiare le leggi, ma agire a livello sociale e, solo in un secondo momento, modificare anche le leggi. Ecco perché mi sembrava fondamentale che le donne lavorassero sui “contenuti” e non più solo sui “contenitori” dell’uguaglianza, impegnandosi perché l’atteggiamento e la mentalità maschili cambiassero progressivamente. Ero convinta che si dovesse cominciare col creare le condizioni adatte perché poi le donne potessero occupare posizioni di rilievo, ad esempio creando asili nido, scuole materne con orari compatibili con quelli delle mamme che lavorano, servizi e infrastrutture di vario genere che rendessero più facile, quotidianamente, la vita femminile.
Dobbiamo però arrenderci all’evidenza. In certi casi, solo la legge può accelerare la trasformazione della società modificandone le pratiche. Perché la realtà socio-economica cambi, è necessario passare per la fase delle “quote rosa”. Anche semplicemente perché, finché le donne non occuperanno posti di responsabilità, non avranno mai gli strumenti per lottare contro le discriminazioni e far sì che l’uguaglianza tra gli uomini e le donne non sia più solo un principio astratto. Allora sì, questa decisione del Consiglio dei ministri che oggi riguarda solo le società pubbliche è importante da un punto di vista simbolico. Speriamo che l’esempio venga seguito non solo in politica, ma anche dalle grandi aziende private.

La Repubblica 04.08.12

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“Aziende pubbliche, ecco le quote rosa nei cda un componente su tre sarà donna”, di Annalisa Cuzzocrea

Stavolta no, non è un contentino. Il regolamento approvato ieri dal Consiglio dei ministri – in applicazione della legge varata un anno fa sulle quote rosa nei consigli di amministrazione – è destinato ad attuare una rivoluzione nelle società italiane controllate dallo Stato. Che dovranno avere nei loro cda e nei loro collegi sindacali almeno un terzo del genere meno rappresentato. Tradotto, almeno un terzo di donne.
E quindi Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Rai, Sace, Cassa depositi e prestiti, Finmeccanica, Fintecna, Anas: sono 25 le società che dipendono direttamente dal ministero dell’Economia, 89 le controllate di secondo livello, 2.100 le partecipate con oltre il 50 per cento dagli enti locali. Facendo i conti, tra il 2012 e il 2015, dovranno trovar posto al loro interno 6.500 consiglieri e 3.500 sindaci donna. È questa, la rivoluzione. «Un’altra importante tappa nel cammino verso l’affermazione di una nuova cultura della parità di genere», dice Elsa Fornero. Si augura, il ministro del Welfare, che la decisione «sia un buon esempio per la politica. Che non si debba, con rammarico, registrare l’assenza di candidature femminili come pare essere il caso delle prossime elezioni in Sicilia». Lo stesso auspicio arriva da Anna Finocchiaro, la presidente dei senatori pd che – come altre sue colleghe, tanto a destra quanto a sinistra – plaude alla legge: dalla presidente della fondazione Bellisario e deputata pdl Lella Golfo, che per prima l’ha promossa, a Chiara Moroni di Fli, fino all’ex ministro Mara Carfagna («una giornata storica»). Non un uomo fino a tarda sera, quando appare, timida, una dichiarazione del capogruppo pdl Fabrizio Cicchitto.
Roba da femmine, penseranno gli altri. Potrebbe non essere così. Perché se davvero ci sarà posto per tante donne in più (oggi la percentuale rosa nei cda delle controllate è al 7,6%), tutto rischia di cambiare anche per gli uomini. Tanto più che la legge che il Parlamento aveva varato un anno fa – dal 12 agosto entrerà in vigore per tutti, organismi pubblici e privati. Per le società quotate, infatti, il regolamento era arrivato già a febbraio ad opera della Consob, chiamata a vigilare sull’ottemperanza delle nuove regole. E quindi anche lì, nei prossimi 4 anni, sono in arrivo 700 consiglieri e 200 sindaci donna. Una decisione che ha già sortito i suoi effetti, visto che nell’ultimo anno e mezzo molte società hanno cominciato ad adeguarsi passando dal 6,75 per cento di presenza femminile alla fine del 2010 al 9,49 del mese scorso. Adesso – mano a mano che arriveranno i rinnovi – dovranno fare di più. Così come avverrà nel pubblico, dove a controllare non sarà la Consob, ma direttamente il governo e il ministero per le pari opportunità. La pena, per chi non si adegua dopo i richiami formali, è la decadenza del cda.
A storcere il naso hanno cominciato in molti. Perché «le donne non sono panda», come dice da sempre Emma Bonino. Perché non è con le quote che si raggiunge la parità, spiega chi è contrario a questa legge. Perché si rischia che i cda si riempiano di «figlie di» e «amiche di». La fondazione Bellisario ha risposto raccogliendo 2.500 curricula di donne capaci (oltre il 90 per cento con una o più lauree, la metà con master all’estero) «per dimostrare – dice la presidente Lella Golfo – che le donne ci sono, ci sono da sempre. Adesso non si potrà far finta di non vederle».

La Repubblica 04.08.12