Le prossime elezioni richiedono alle forze politiche una attitudine alla invenzione strategica. Non basta allestire, con la necessaria duttilità tattica, la coalizione vincente. Dopo la rovinosa caduta del berlusconismo, in gioco sono anche questioni di più lunga durata. Oltre alle alleanze dettate dal calcolo e dalle opportunità, occorre anche una proposta dal respiro strategico, la sola che possa chiudere un ciclo storico fallimentare e aprire i cantieri per un’altra fase della Repubblica.
L’alleanza della sinistra con forze moderate può assumere i caratteri di una soluzione strategica alla crisi italiana. Essa però va declinata non già come una semplice formula di governo dettata dai testardi numeri, ma come una via maestra per guidare la transizione nel solco di un nuovo patriottismo costituzionale. Il nucleo forte del realismo politico risiede proprio in questo assillo per abbozzare una risposta della politica al disfacimento dei rapporti di potere. Le transizioni politiche, cioè le fasi dense di incognite che seguono una caduta di regime, vanno anzitutto governate. Se si lascia scorrere un processo storico di destrutturazione degli antichi equilibri di potenza senza preoccuparsi di fornire il governo politico che scongiuri i vuoti, le sorprese più amare non mancheranno di affiorare favorendo un ripiegamento regressivo.
Accadde così negli anni ’90. Allora fu bistrattato il canone del realismo per inseguire dei velleitari sogni di gloria. Mancò ogni idea di confluenza costituzionale tra gli eredi delle grandi culture politiche. Non fu accolta neanche la disperata richiesta di Gerardo Bianco di spostare solo di qualche mese la data del voto, per dare così la possibilità ai moderati di riorganizzarsi in vista della contesa nei collegi maggioritari. La rottura, consumata in un delicato passaggio di transizione, tra la sinistra e il centro favorì però la scorciatoia plebiscitaria. Quando la sinistra scorda la lezione originaria del «partito nuovo» (ma anche il nucleo vitale del compromesso storico di Enrico Berlinguer), e agevola la migrazione di un’area moderata nel blocco delle forze populistiche, agevola un collasso di portata storica.
L’esperienza della seconda Repubblica conferma i guasti del connubio tra le destre e i moderati. Solo le dure repliche avute dalla farsa berlusconiana hanno restituito al centro la ragione politica smarrita, che svela l’impossibilità per i moderati di convivere in una condizione subalterna entro la coalizione di destra. Dopo la distruzione della seconda Repubblica non emerge una normalizzazione per cui un responsabile partito di centro ha l’opportunità di creare un polo alternativo alla sinistra. Il centro resta una porzione minoritaria che si è distaccata dalla destra favorendo l’implosione del potere berlusconiano che ora cerca però di riemergere cavalcando le componenti populistiche variegate in circolazione.
In futuro l’area moderata potrà aspirare ad occupare uno spazio politico alternativo a quello della sinistra. Ma nella transizione che si è aperta, e nel bel mezzo di sovversivismi mai sopiti, un esplicito patto costituzionale con la sinistra è un atto di grande responsabilità storica, cui il moderatismo non potrà sottrarsi. Il centro attuale non è l’area cattolica progressista erede di Moro e del dossettismo, e che solo per una vicenda originale della storia italiana abitava in un partito ad egemonia moderata. È un soggetto di ispirazione cattolico-liberale che rigetta il codice del populismo e respinge ogni seduzione plebiscitaria. In un momento di crisi, non si può certo trascurare questa positiva realtà di un centro provvisto di una lealtà costituzionale e di una cultura parlamentare.
Quella inaugurata nel 1994 si è rivelata una transizione (verso un altro sistema di partito) senza consolidamento (con regole condivise, con la legittimazione reciproca degli attori). La prospettiva attuale deve essere quella di trovare un rapido consolidamento (per rafforzare l’efficacia del regime parlamentare) alla transizione inaugurata con il crepuscolo del populismo. Per quanto la cecità degli avversari costringa a giocare una partita nuova con regole arrugginite, bisogna mantenere saldo il proposito di edificare argini contro la frantumazione. Il consolidamento della transizione chiede di porre rimedi alle coalizioni liquide attraverso una recuperata funzione di grandi partiti (capaci di supportare una leadership altrimenti sotto ricatto malgrado i gazebo). L’alleanza con il centro non si risolve in una scena trasformista purché la sinistra, così traspare nella carta di intenti, ritrovi i resti delle sue antiche cose (identità, radicamento, partecipazione).
l’Unità 03.08.12