Anche se si ostina a ripeterlo con chiunque glielo chieda, sembra davvero difficile che il governatore dimissionario della Sicilia Raffaele Lombardo si ritiri a fare il Cincinnato. Lo farà, inevitabilmente, se le accuse sui suoi rapporti con la mafia dovessero essere confermate nel processo che lo attende di qui all’autunno. Ma nel caso, non impossibile, di un proscioglimento, sarà di nuovo in campo. Le elezioni regionali anticipate ad ottobre rafforzano il ruolo, che la Sicilia ha avuto altre volte nella politica italiana, di laboratorio anticipatore, nel bene e nel male, di quel che sta per accadere a livello nazionale. Sono lontani i tempi in cui si sperimentavano a Palermo il primo centrosinistra o i governi di unità nazionale Dc-Pci. Più di recente, e assai più mediocremente, l’Assemblea Siciliana s’è trasformata in un’enorme provetta di ogni tipo di trasformismo e di frammentazione, con ben cinque maggioranze diverse che si sono trovate a sostenere Lombardo nelle sue giravolte, e un’infinità di scissioni e micro-fratture dei partiti, refrattari ormai a qualsiasi indicazione stabilita a livello nazionale. Al punto che, se i suoi guai giudiziari e il dissesto del bilancio siciliano non lo avessero travolto, il governatore avrebbe potuto continuare all’infinito il suo gioco, che prevedeva di mettersi in mezzo alla girandola impazzita dei novanta membri dell’Ars, per combinare ogni mese un nuovo governo appoggiato da una nuova maggioranza.
Eppure, malgrado la sua immagine arcilogorata, e i risultati catastrofici della sua gestione, politicamente Lombardo resta la prima, forse la principale incognita delle elezioni siciliane, ai cui nastri di partenza già s’affollano una decina di candidati alla successione. Il governatore può tentare di accordarsi con il centrodestra o con il centrosinistra, entrambi usciti scottati dalle precedenti alleanze con lui, ma interessati alla rete di clientele costruita ininterrottamente in questi anni e in grado mobilitare ancora un gran numero di voti. Oppure Lombardo potrebbe decidere di ricollocarsi al centro, per impedire a ciascuna delle due (o più) coalizioni di raggiungere la maggioranza. La legge elettorale siciliana agevola allo stesso modo l’aggregazione e la distinzione tra un partito e l’altro. E come s’è visto, il potere assoluto di sciogliere l’Assemblea e mandare a casa i deputati, fa del governatore (quello che c’è ancora per poco, e quello che verrà) l’unico vero dominus dei giochi politici nella regione. Alla luce di questo, il gioco degli specchi siciliano è appena cominciato. E purtroppo, c’è da temere, il peggio deve ancora venire.
La Stampa 02.08.12