Come si fa a sostenere che è normale se a una impresa italiana sana il credito costa più caro che a una impresa tedesca in difficoltà? A che serve condividere l’euro se, come ci informa la Reuters, su un mutuo casa la famiglia finlandese media paga un tasso di interesse che è meno della metà di quello che è richiesto alla famiglia spagnola?
Non è solo questione di salvare i debiti degli Stati. Tutto il funzionamento delle economie dei Paesi euro è distorto dal rischio che l’unione monetaria si spacchi. Gli stessi spread sui titoli pubblici dipendono più da questo fattore che dalle scelte dei governi o dalle incerte prospettive politiche di alcuni Paesi. Questo hanno inteso dire ieri il capo del governo italiano e il presidente della Repubblica francese riaffermando il loro pieno appoggio a Mario Draghi.
Eppure il compito di tenere insieme l’euro per il momento resta tutto affidato al presidente della Banca centrale europea. Ha dalla sua i governi, tedesco compreso; ma la riunione del consiglio Bce di domani e la successiva conferenza stampa richiederanno grandi dosi di coraggio, inventiva, abilità di manovra. I mercati sono pronti ad afferrare ogni pretesto per sentirsi delusi e riprendere a giocare al ribasso.
Se non si concretizzerà presto la «nuova spinta politica» sulla «tabella di marcia» per rinsaldare la zona euro, di cui ieri Monti e Hollande hanno discusso, la battaglia che divide la Germania potrebbe essere perduta per gli europeisti. Peggio, c’è da domandarsi che cosa possa uscir fuori da un Paese come la Germania nel caso prevalgano coloro che un giorno denigrano i meridionali dell’Europa, un altro ignorano le critiche di Barack Obama attribuendole alla campagna elettorale, un altro giorno ancora sostengono che il Fondo monetario sbaglia tutto perché è guidato da due francesi e influenzato dagli americani, e così via.
Dipende soprattutto dalla Francia se Angela Merkel potrà tranquillizzare i tedeschi con meccanismi chiari di condivisione politica delle responsabilità economiche. Ma non dipende soltanto dalla Francia. La Spagna se ha bisogno di aiuto deve calare il tono del suo orgoglio nazionale, accettare che altri occhi guardino nei conti delle sue banche e delle sue regioni. I partiti politici italiani possono contribuire con un po’ più di chiarezza su che cosa avverrà nel 2013. Se i giochi della politica interna tedesca fanno premio sulla sorte dell’Europa, come ha lamentato il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker, i non tedeschi potrebbero cominciare a dare il buon esempio.
Non sarebbe nemmeno tanto difficile, per Draghi, rimettere le cose a posto, se il progetto della politica europea fosse chiaro. Domare i mercati non è impossibile, anche se sono oggi forti come mai prima. Se esistono le distorsioni di cui si diceva – esistono pur se i dogmatici della Bundesbank si rifiutano di vederle – è compito della Banca centrale europea contrastarle. Ovvero occorre restringere all’interno dell’area euro il divario tra i tassi di interesse.
Si potrebbe discutere all’infinito di quanto sia la parte «giusta» dello spread (quella che punisce la minore affidabilità dei debiti pubblici, ovvero dei sistemi politici che li governano) quanto invece quella «sbagliata» secondo Monti e Hollande sulla scia di Draghi. Tra gli esperti circola una ipotesi di intervento coraggioso e innovativo per tagliare il nodo: la Bce potrebbe acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli e per lo stesso ammontare vendere allo scoperto titoli tedeschi, olandesi, finlandesi. Se i tedeschi temono che si stampi moneta per pagare i debiti dei Paesi deboli, questo è un modo di evitarlo. Per molte ragioni, è difficile che si faccia. Speriamo nella fantasia di Draghi.
La Stampa 01.08.12