Chiusure festive, orari ridotti, l’umiliazione dei biglietti rimborsati. Notizie dai nostri beni culturali lasciati a sé stessi. Con la perdita di importanti introiti La Galleria Barberini, restaurata con 24 milioni di spesa, non si può visitare la domenica, iI turismo culturale è una delle poche voci che continuano a “tirare”, ma l’Italia sembra fare di tutto per spegnerla. Anche questo governo e il ministro Lorenzo Ornaghi lesinano somme molto modeste perdendo introiti importanti e sfregiando la nostra immagine nel mondo. La domenica rimane clamorosamente chiusa quella Galleria Nazionale di Arte antica del colossale Palazzo Barberini che, dopo anni di lavori e 24 milioni di spesa, con le sue 37 sale rinnovate, fresche, munite di audio-guide in più lingue, col favoloso salone affrescato da Pietro da Cortona, dovrebbe essere fra le formidabili novità di Roma e d’Italia. Mancano i fondi per un paio di custodi, si perde la faccia, si fanno imbestialire i turisti, si rinuncia ad un incasso non trascurabile.
Non ci si poteva mettere attorno ad un tavolo e studiare un tipo di orario meno oneroso di quello su tre turni? Non c’è addirittura una Direzione generale per la Valorizzazione creata per Mario Resca, ex McDonald’s, ex Casinò di Campione, che ora la lascia senza glorie particolari per l’Acqua Marcia? E al Polo Museale di Roma l’articolo non interessa? «Il MiBAC (ministero dei Beni e le attività culturali) è imbottito di burocrati, per giunta bizantini», si commenta, «mentre i direttori generali regionali sono dei “nominati” di fatto dalla politica». Con scarsa capacità di controllo se il funzionario addetto agli appalti nel Lazio, Luigi Germani, ha potuto sparire nel nulla, mesi fa, con 5 milioni di euro.
Minacciata di chiusura è la stessa Galleria Borghese, museo unico al mondo, dove la malattia di un custode già provoca drammi e dove si operano umilianti chiusure parziali col rimborso di parte del biglietto. Inoltre due mostre attraenti, per le quali c’erano già gli sponsor, sono già saltate nel 2012 perché la direttrice del Polo Museale romano, Rossella Vodret, bocciata in due concorsi, non ha ritenuto di doverle autorizzare. E il Collegio Romano? E il ministro? Tacciono. «Almeno Bondi si scusava di non poter fare granché», si osserva. Lorenzo Ornaghi ha tacciato di «valori grossolani» “Italia Nostra” contraria all’ultima “esportazione” a Pechino di opere d’arte come articoli-civetta, comprese tavole delicatissime che viaggiare non dovrebbero proprio. Poi si è chiuso nel solito mutismo. Del resto, non ha sostituito col suo giovane segretario nel consiglio di amministrazione della Scala il finanziere-musicofilo Francesco Micheli, suscitando l’ira di Giulia Maria Crespi e del sindaco Giuliano Pisapia? Siamo alla desertificazione della cultura.
La situazione operativa è drammatica ovunque si fa tutela e valorizzazione con musei e siti archeologici strepitosi, difesi dall’impegno personale di chi se ne occupa. Archeologi, storici dell’arte, architetti, archivisti, bibliotecari costretti a usare i loro cellulari, a spendere del loro, visto che “godono” del lauto stipendio (meno della metà delle medie europee) di 1.700 euro che a chi va in pensione frutterà il “grasso” mensile di 1.400, dopo decenni. Dal 2011 sono scomparsi anche i 120 euro al mese del Fondo Unico per l’Amministrazione e, dal 2010, gli incentivi. E i concorsi per la progressione economica da quegli abissi? In cronico ritardo. Il 12 maggio scorso centinaia di funzionari, fra cui le direttrici delle Gallerie Borghese, Barberini, Corsini, di Palazzo Massimo, Colosseo, Appia Antica hanno inviato alle più alte cariche dello Stato una drammatica lettera-appello dove denunciano la follia suicida dello stato in cui sono lasciati beni culturali invece essenziali per rilanciare cultura ed economia. Qualcuno ha loro risposto? Nessuno. O meglio, indirettamente ha replicato un sociologo del tempo libero ritenuto importante. Sul “Corriere della Sera” romano li ha così ritratti: «La gestione storico-artistica è affidata ai soprintendenti: persone colte, topi di biblioteca, che di mestiere dovrebbero scrivere libri. Li attornia uno stuolo (sic!) di addetti, creativi mancati, che avrebbero voluto fare i pittori o gli architetti: gente frustrata, che si mette sempre di traverso “. Volete commentare?
L’Unità 30.07.12