Una buona notizia: Mario Draghi ha schierato la Bce in una difesa dell’Euro «senza riserve» e ha trascinato dalla sua, pur con qualche resistenza, il governo tedesco. Ovviamente l’azione di Draghi ha un limite nel mandato assegnatogli, e in questo drammatico contesto la sua scelta appare persino una carta estrema, l’ultima a disposizione: tuttavia è riuscita a raffreddare la tensione su Borse e spread e a dare all’Europa un po’ di tempo in più per prendere quelle decisioni politiche, che sole possono salvare la moneta unica e ciò che resta della pace sociale del continente.
Ma gli ultimi giorni hanno portato anche una pessima notizia: il Pdl, dopo un lungo torpore, è rientrato in campo con l’obiettivo di sabotare la ricostruzione del sistema politico.
Era uno degli impegni concordati della transizione post-berlusconiana: mentre Monti doveva fronteggiare da Palazzo Chigi l’emergenza economico-finanziaria e risalire la ripida china della credibilità persa all’estero, il Parlamento avrebbe dovuto ripristinare uno standard democratico europeo, attraverso il cambio della legge elettorale e alcune mirate riforme istituzionali. Il Pdl invece ha deciso di far saltare ogni compromesso sulle modifiche costituzionali, e ora minaccia di impedire il cambio del Porcellum (o di condizionarlo a proprio esclusivo vantaggio). Non solo. Il Pdl ha riesumato per l’occasione il tandem con la Lega: quell’alleanza fallita al governo si è ricostituita in chiave negativa, per una mera difesa egoistica e, appunto, per l’azione di sabotaggio.
Non interessa al partito di Berlusconi approdare davvero al presidenzialismo che oggi sbandiera: gli è bastato impedire la riforma del sistema parlamentare che avrebbe consentito, con la sfiducia costruttiva, una maggiore stabilizzazione del governo futuro. Così come gli basta, in tema di legge elettorale, ostacolare la vittoria del Pd, alzare l’asticella fino a rendere improbabile un governo politico di centrosinistra dopo le elezioni (questo il senso della proposta di conservare la struttura del Porcellum, facendo scattare il premio di maggioranza solo alla lista o alla coalizione che supera il 45% dei voti). Il Pdl ha in questo momento anche un altro obiettivo tattico: impedire il ricorso alle elezioni in novembre. Spera di logorare, al tempo stesso, Monti e il Pd. Di far dimenticare il proprio fallimento, di annacquarlo in una responsabilità indistinta della «classe politica»: per questo i giornali di destra alimentato volentieri il qualunquismo dei Grillo e dei Di Pietro. Berlusconi vuole ricandidarsi, ma non punta alla vittoria: lo scopo da raggiungere è che nessuno vinca, che il sistema italiano non riesca a recuperare credibilità, che il Pd venga ingabbiato in una grande coalizione permanente, come un esecutore delle tecnocrazie europee, al più come un mediatore sociale in un sistema politico incapace di progettare un futuro.
Invece abbiamo bisogno vitale di una democrazia competitiva. Abbiamo bisogno che, alle elezioni, i cittadini siano messi di fronte a due alternative politiche. La stessa transizione di Monti fallirà se l’approdo sarà quello di una politica ancora bloccata.
Il governo dei tecnici ha lavorato e sta lavorando per fronteggiare l’emergenza. Ha fatto cose utili e importanti. Soprattutto in Europa. Ha preso decisioni impopolari, talvolta non condivisibili e socialmente inique, alcune delle quali sono state poi corrette dal Parlamento. Ma il governo, dopo questa estate, avrà sostanzialmente concluso il suo compito. Mentre invece non sappiamo, anche perché non dipende da noi, se l’attacco contro l’euro riprenderà con più forza e se l’Europa farà in tempo a dotarsi degli strumenti necessari per compiere l’attesa svolta politica e istituzionale.
Potremmo andare incontro ad un autunno caldissimo. E saggezza vorrebbe che si offrisse al Capo dello Stato anche la carta dello scioglimento delle Camere. Perché potrebbe aiutarci a difendere non l’interesse di parte, ma l’interesse del Paese. Che senso avrebbe affrontare così una nuova tempesta, quando non sono possibili (né socialmente sopportabili) altre manovre, con una maggioranza sempre più in conflitto e una lunghissima campagna elettorale già lanciata? Meglio allora una nuova legittimazione popolare e un programma di governo di più ampio respiro. Meglio per l’Italia.
Ma ovviamente a una condizione. Che le alternative politiche siano chiare e la scelta degli elettori impegnativa. Per questo bisogna uscire dall’incubo del Porcellum. Che prometteva un bipolarismo rafforzato e ci ha condannato invece al trasformismo e all’instabilità. Non è difficile definire un sistema elettorale di tipo europeo. La scelta è ampia: e non ha senso opporre veti. Occorre però favorire, pur senza forzature, la formazione di governi omogenei. Nessun sistema può escludere, in via di principio, una grande coalizione: ma non può diventare l’esito quasi scontato. Altrimenti si condannerà l’Italia ad un esito molto simile a quello greco, dove le forze populiste e anti-europee sono diventate la vera alternativa ad un esito obbligato e oggi ipotecano il futuro politico del Paese.
È questo che si vuole? È questo a cui punta Berlusconi, sostenuto dal tifo dei populisti di tutte le sponde? La ricostruzione del Paese passa oggi per la sconfitta del Pdl, della Lega e di Grillo. L’Italia e l’Europa – lo dicono gli operai di Taranto e i tanti altri che tornano in piazza, lo dicono i giovani ricercatori precari, le famiglie impoverite e impaurite, lo dicono le Regioni e i Comuni che rischiano la distruzione del loro welfare e con esso della tutela di diritti universali – hanno bisogno di una svolta a sinistra. Saranno gli elettori a decidere. Se il Pd e il centrosinistra non formuleranno una proposta convincente, probabilmente avremo ancora una grande coalizione (e stavolta sarà una sconfitta). Ma la riforma elettorale deve dare ai cittadini la possibilità di scegliere e di insediare un governo di alternativa.
l’Unità 29.07.12