Ieri il ministro delle Politiche agricole e forestali, Mario Catania, ha convocato a Roma una conferenza intitolata “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione”. Un evento piccolo, ma a suo modo storico, perché in Italia è finalmente caduto un pesante velo istituzionale. Per la prima volta un ministero riconosce apertamente che il consumo di suolo è un problema grave e quindi una priorità. È Stato presentato un rapporto ufficiale con statistiche eloquenti e, un po’ a sorpresa, un disegno di legge «in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo» che, tra le altre cose, propone con grande coraggio l’abolizione dell’uso da parte dei Comuni degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente.
Il suolo è un bene comune. Una volta cementificato perde fertilità in maniera irreversibile, smette per sempre di produrre cibo, bellezza, cultura. Tre elementi che sono le nostre migliori ricchezze, che continuiamo a sperperare senza ritegno. A tal proposito, sia sufficiente una citazione attribuita all’economista John K. Galbraith: «Penso alla vostra patria, alla bellezza del suo paesaggio, alle vestigia storiche, alla sua agricoltura, al suo turismo. Se voi oggi siete in crisi è colpa vostra».
È colpa nostra bruciare risorse uniche: secondo il rapporto del ministero dal 1971 al 2010 abbiamo perso il 28% della superficie agricola utilizzata, un’area grande come Lombardia, Liguria ed Emilia- Romagna. Ogni giorno si cementificano 100 ettari di suolo e l’agricoltura italiana soddisfa soltanto più l’80% del nostro fabbisogno alimentare.
Se per alcuni decenni l’agricoltura ha sopperito alla diminuzione dei terreni con l’incremento delle rese delle coltivazioni, oggi ciò non è più possibile per motivi strutturali e di sostenibilità ambientale. L’agricoltura industriale non può andare tanto oltre quanto non si sia già spinta. Intanto il sistema di produzione del cibo soffre profondamente.
Scarsa remunerazione ai contadini, una filiera iniqua che penalizza soprattutto gli agricoltori e una mancanza cronica di giovani che rigenerino le nostre campagne sono un perfetto apripista per la perdita dei nostri terreni fertili, sia per cementificazione, sia per abbandono. La crisi del mondo agricolo è la prima causa del male, perché se distruggiamo i presidi principali del territorio, ovvero le persone che lo lavorano e lo curano, non ci sarà più speranza. Per ritrovarla servono nuovi paradigmi, creatività, nuove priorità. Ciò che giustamente Catania vuole incentivare: «Serve una battaglia di civiltà, per rimettere l’agricoltura al centro del modello di sviluppo che vogliamo dare al nostro Paese. Immagino uno Stato che rispetti il proprio territorio e che salvaguardi le proprie potenzialità. Noi usciremo vincenti da questa crisi se lo faremo con un nuovo modello di crescita».
Dalla buona agricoltura non si prescinde, e quindi non si deve prescindere dalla tutela dei terreni. Il disegno di legge presentato ieri è un primo passo importante. Intanto perché è una novità assoluta, che recepisce una sensibilità sempre più diffusa tra la società civile. Sono tante le associazioni già al lavoro, e ricordo che è partita la campagna per un “Censimento del Cemento” da parte del Forum Nazionale “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i territori”: è stata spedita a tutti i Comuni d’Italia una scheda per censire gli edifici costruiti e inutilizzati, ma in pochi hanno già risposto. Che si diano da fare però, perché avere dati certi è una base indispensabile per lavorare a una legge più giusta possibile. Intanto il ministero, attraverso il metodo della concertazione, ieri ha saggiamente invitato le associazioni ambientaliste, degli agricoltori e tutte le altre istituzioni a pronunciarsi sul disegno di legge, suggerendo modifiche e migliorie al testo (che potete scaricare dal sito www.slowfood.it). Questo è incoraggiante, a prescindere da alcuni limiti che l’attuale stesura contiene.
Nel disegno di legge c’è però una proposta quasi rivoluzionaria: l’ultimo articolo del testo propone di abolire l’uso degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni. Ciò significa spezzare il secondo meccanismo principale che porta alla sciagurata cementificazione del nostro Paese: la continua emergenza economica degli enti locali che quasi non possono più esimersi dal sacrificare le proprie terre fertili per fare cassa. Andranno sicuramente previste delle compensazioni, perché è arduo pensare di togliere una risorsa così importante mentre si fa fatica a garantire i servizi essenziali, ma il meccanismo prima o poi si dovrà rompere: è un po’ come se durante un inverno freddissimo, quando non funziona più il riscaldamento di casa, iniziassimo a bruciare tutti i nostri mobili. Alla fine rimarremmo senza mobili e intanto il freddo non sarebbe passato: un lentissimo doppio suicidio. È invece necessario puntare alla vita, che può essere ben rappresentata dall’immagine di un suolo fertile che produce cibo, bellezza, piacere e, ve l’assicuro, potenzialmente così tanta nuova economia da riuscire a sovvertire anche la crisi più nera.
La Repubblica 25.07.12