Il salva-banche non convince, lo scudo antispread non scatta, la recessione avanza mentre altri allarmi si accendono: le regioni spagnole a rischio bancarotta, ma anche la Sicilia oberata di debiti spaventano e alimentano la speculazione. Gli ultimi vertici europei non sono stati in grado di dare un segnale forte e così sulle Borse senza bussola piovono le vendite. In questa situazione di incertezza i grandi investitori si chiedono se abbia ancora un senso l’austerity spinta, che invece di risanare alimenta la recessione.
IL “SALVA-BANCHE” NON CONVINCE
È una constatazione: la caduta dei titoli bancari in Spagna indica che i mercati non credono all’efficacia del salvataggio. Malgrado l’eurozona abbia previsto di stanziare 100 miliardi, di cui 30 entro pochi giorni, gli investitori continuano a vendere le azioni delle banche. Le ragioni sono diverse. Da una parte gli istituti di credito spagnoli, insieme con la loro vigilanza e il loro governo, hanno mentito troppo a lungo sullo stato di salute reale dei bilanci: non hanno più credibilità. L’altra causa di sfiducia, è un effetto perverso degli aiuti della Bce: la liquidità che Mario Draghi fornisce agli istituti di credito, viene reinvestita nei buoni del Tesoro spagnoli. Di fatto in ogni paese le banche sono diventate i principali acquirenti di bond pubblici nazionali: col risultato di affondare i loro bilanci, in quei paesi dove il valore dei titoli di Stato perde quota. E’ la famosa “spirale perversa” che non è stata spezzata.
I RITARDI DELLO SCUDO
Con i rendimenti dei buoni decennali del Tesoro che in Spagna hanno raggiunto il 7,5%, i mercati si stanno convincendo che Madrid non ce la farà più a rifinanziarsi.
Lo “scudo anti-spread”, che avrebbe dovuto mettere un tetto a questi rialzi degli interessi in Spagna e Italia, è latitante. Troppe le resistenze, tedesche olandesi e finlandesi. Pesa il dubbio che i due “contenitori” di risorse per aiutare i paesi in difficoltà (Efsf, Esm) siano del tutto insufficienti. La Bce ha le mani legate, ogni espansione del suo ruolo nell’acquisto di titoli pubblici può provocare obiezioni di anti-costituzionalità in Germania. Di qui la previsione della più grande banca americana, JP Morgan, che vede un “credit crunch” all’orizzonte. Ce la farà Madrid a rifinanziare i 27 miliardi di titoli in scadenza da qui a ottobre?
DEFAULT DELLE REGIONI
A minacciare la solvibilità degli Stati, ci si mettono anche le loro regioni. Gli scricchiolii periferici sono iniziati da Valencia, che ha chiesto di poter attingere a un fondo di emergenza di 18 miliardi creato dal governo centrale di Madrid per scongiurare la bancarotta delle regioni. Poi un Sos ancora più inquietante è venuto dalla Catalogna, la “Lombardia iberica”, un tempo ammi-rata
per il suo dinamismo economico. Neppure Barcellona riesce più a farsi fare credito sui mercati. Infine l’allarme italiano, partito dalla Regione Sicilia, che si è conquistata il titolone del
New York Times.
L’AUSTERITY FABBRICA RECESSIONE
Non è vero che l’austerity piace ai mercati. Non quando è la ricetta per rendere ancora più insostenibili i debiti. Gli investitori internazionali osservano che più la Spagna si sforza di applicare le direttive di Bruxelles Francoforte e Berlino, più si allontana la ripresa: ora il governo Rajoy prevede recessione fino al 2014, con disoccupazione fissa al 24%. E’ una logica implacabile che i mercati hanno già visto all’opera in Portogallo, Irlanda e Grecia: di tagli si uccide il paziente. Da notare l’andamento anomalo della Francia. Dall’elezione di François Hollande il suo spread con la Germania si è ridotto. Hollande «fa cose di sinistra», come l’addizionale sull’imposta patrimoniale e l’assunzione di insegnanti. Eppure viene premiato dai mercati. Perché ha una strategia pro-crescita (fondi alla scuola) e persegue il rigore di bilancio a carico di chi può finanziarlo (i ricchi).
LA BEFFA (PER NOI) DEI TASSI NEGATIVI
Beata Germania: colloca i suoi buoni del Tesoro biennali con un tasso negativo (meno 0,07%). Il tasso negativo sembra un controsenso: significa che l’investitore-risparmiatore è disposto a pagare il Tesoro tedesco pur di prestargli i suoi
soldi. Il fenomeno innaturale avviene nelle situazioni di grave incertezza: equivale al prezzo che paghiamo per affittare una cassetta di sicurezza, dove pensiamo che i gioielli di famiglia sono al sicuro. L’effetto perverso è che i tassi negativi dei bond tedeschi trascinano al ribasso tutta la struttura dei rendimenti in Germania. Il credito costa sempre meno per le imprese tedesche, mentre diventa più caro per quelle italiane. Si accentua così quella perdita di competitività del made in Italy, che è la vera causa strutturale capace di rendere insostenibile tutta l’unione monetaria.
SE È LA GERMANIA A FARE SECESSIONE
Questo lunedì nero dei mercati ha avuto un antefatto: le indiscrezioni del settimanale tedesco
Der Spiegel
su un ritiro degli aiuti del Fondo monetario internazionale alla Grecia. A questo si sono aggiunti i segnali di irrigidimento della Germania: «Un’uscita della Grecia dall’eurozona non sarebbe un dramma, e io sono sempre più scettico sulle possibilità di Atene di riuscire a restarvi», ha detto il vicecancelliere tedesco Philipp Roesler. “Grexit”, cioè lo scenario di uscita della Grecia, preoccupa non tanto in sé quanto per la creazione di un precedente: a chi tocca dopo? Inoltre sembra segnalare che la Germania può considerare un euro a due velocità, con paesi espulsi in una fascia esterna. Fino a non molto tempo fa, era fanta-politica. Ora i mercati ci riflettono.
La Repubblica 24.07.12