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"Ecco come i super ricchi del Pianeta sottraggono al fisco 21mila miliardi", di Roberto Mania

Super ricchi oppure super evasori. Qualche volta, più rozzamente, super delinquenti globali. Perché c’è una manciata di persone di tutto il mondo che ha depositato nei paradisi fiscali qualcosa come 21 mila miliardi circa di dollari americani. È una cifra impressionante, stratosferica. È una somma pari al Pil prodotto negli Stati Uniti e a quello giapponese messi insieme, due tra i paesi più ricchi del Pianeta.
Sono soldi sottratti al fisco, qualunque esso sia; soldi tolti agli investimenti produttivi e al lavoro; soldi molto spesso frutto di operazioni di riciclaggio della criminalità organizzata o del terrorismo internazionale. Sono soldi che arrivano da tante parti ma che si fermano nei cosiddetti paradisi fiscali, dalle Isole Cayman alla Liberia, con una identica principale motivazione: non pagare le tasse, o pagarne molto meno del dovuto. Sono soldi che per tante ragioni “devono” restare nascosti nei forzieri off-shore. Tanto chi li possiede se li può godere ugualmente, grazie a una rete di complicità che vede le banche (le stesse che dai subprime hanno generato la crisi) principali protagoniste insieme a un esercito di consulenti legali e finanziaria senza scrupoli. A misurare per la prima volta il “bottino” depositato nelle banche opache fiscalmente protette è stata l’organizzazione britannica anti evasione Tax Justice Network (Tjn) che ha fatto della lotta contro i paradisi fiscali una delle sue principali missioni, convinta che proprio l’esistenza di quei Paesi senza trasparenza sia una delle cause della povertà mondiale e della crescente diseguaglianza tra ricchi e poveri e tra il nord e il sud dell’emisfero. Tanto più quando anche la parte un tempo ricca del globo è avvolta nella coltre della nuova recessione.
Ventunomila miliardi di dollari, dunque. Una fortuna che appartiene a poco più di 10 milioni di persone, tra i quali sono circa 91 mila quelli che possiedono poco meno di 10 mila miliardi nei paradisi fiscali. Ma quei 21 mila miliardi forse sono di più. Tjn, infatti, ha considerato esclusivamente la ricchezza monetaria depositata nelle banche e gli investimenti finanziari realizzati, non le proprietà immobiliari né gli yacht.
Così la stima della ricchezza offshore arriverebbe a ben 32 mila miliardi di dollari. La ricerca dal titolo significativo “The price of off-shore revisited”, è stata realizzata dall’ex capo economista della società di consulenza McKinsey, James Henry, ed è basata su dati della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale, delle Banche centrali nazionali, dell’Onu e della Banca dei regolamenti internazionali. Cifre — sostiene Henry — che tutti i grandi organismi internazionali utilizzano solo in parte perché dedicano pochissime indagini a questo settore. «Uno scandalo», secondo lo studioso che denuncia la sostanziale «tolleranza » che accompagnato la progressiva crescita dell’economia off-shore.
C’è un circolo vizioso che genera quello che Henry definisce un «gigantesco buco nero nell’economia mondiale». Ci sono gli istituti di credito, innanzitutto. Lo
studio rivela che le tre principali banche coinvolte nei meccanismi di trasferimento del denaro dei super ricchi globali sono: Ubs, Credit Suisse e Goldman Sachs. E che, a fine 2010, le principali 50 banche intermediavano più di 12,1 mila miliardi di investimenti cross-border. Investimenti privati ma anche dei grandi gruppi e delle fondazioni controllate dai super ricchi. È questa la rete che spiega la crescita media del 16% ogni anno dei depositi off-shore.
Sono soldi che non vanno nemmeno un po’ in tasse. La ricerca ha stimato che tassando al 30 per cento un guadagno minimo del tre% dei 21 mila miliardi, si ricaverebbero intorno ai 180 miliardi (280 se fossero tassati tutti i 32 mila miliardi) pari più o meno a due volte quello che i paesi dell’Ocse destinano agli aiuti per lo sviluppo. Forse sta qua una delle ricette più concrete anche per uscire dalla Grande Crisi.

La Repubblica 23.07.12

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