Due mesi fa, il boato. E l’Emilia Romagna fu sconvolta dal terremoto. Dopo sessanta lunghi giorni viaggio nei paesi dove il sisma ha lasciato profonde ferite, c’è ancora chi aspetta di tornare nelle case e le istituzioni sono in prima linea per assistere i cittadini e lavorare per la ricostruzione. È già pronto il piano casa. E il presidente della Regione Vasco Errani dice: qui da noi non vogliamo le new town, faremo di tutto per ricostruire le zone colpite. Assicurare la regolarità del prossimo anno scolastico realizzando in due mesi una risposta provvisoria ma adeguata per i 18mila studenti che non avranno la scuola agibile a settembre. Poi, entro l’autunno, chiusura di tutte le tendopoli. Vogliamo dare a tutti i cittadini che hanno la casa inagibile una sistemazione dignitosa, transitoria, in attesa della ricostruzione. Niente new town. Non investiremo i soldi del terremoto per soluzioni provvisorie che poi diventano definitive. I moduli abitativi li prenderemo in affitto, massimo per due-tre anni. Ma ciò che più di ogni altra cosa serve ora è il riconoscimento dei danni e la garanzia delle risorse. Il governo finora ha avuto attenzione. Ma i 2,5 miliardi stanziati per il triennio 2012-2014 sono decisamente insufficienti. Non solo. Il decreto del presidente del Consiglio prevede contributi per la ricostruzione fino all’80% del danno subito da privati e imprese. Bisogna che chi ha diritto abbia la certezza che quel contributo l’avrà, che può andare in banca e ottenere le anticipazioni. Ma servono norme nazionali per garantirlo. Lavoro perchè il governo faccia questa scelta entro l’estate».
Eccole le priorità del presidente della Regione Emilia-Romagna e commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani. Le ha messe a punto con i sindaci, le ha comunicate al premier Monti, le conferma nel colloquio con il nostro giornale.
Scuole, imprese, case. Sono i tre grandi obiettivi della “road map” del governatore e della comunità emiliana ferita. «Questo terremoto è stato di una dimensione enorme dal punto di vista socio-economico – dice Errani – ha interessato un’area di 940 mila abitanti con servizi diffusi e coinvolto migliaia di imprese come mai era accaduto prima in Italia». Scuole, imprese, case: la voglia di ricominciare, di ricostruire, di tornare alla normalità parte da lì. E per ciascun comparto il commissario delegato ha voluto un piano preciso. Anzi, non il commissario ma la Regione, i Comuni, le Province, tutte le istituzioni. «Perché qui – dice Errani – non c’è un uomo solo al comando. Ci sono le istituzioni che lavorano assieme dimostrando la loro capacità di dare risposte ai problemi, ai cittadini».
Errani non lo dice esplicitamente: non ama le premogeniture e nemmeno le interviste, gli annunci e i bilanci per mettersi in mostra. Ma in quest’ultima sua affermazione c’è una triplice orgogliosa difesa: di questa terra, del tradizio nale buongoverno emiliano e della politica. «C’è stata una straordinaria reazione delle persone e della nostra società – scandisce – non si è aspettato l’intervento esterno ma ci si è messi subito in moto per ripartire. E’ il modo d’essere della nostra comunità. Per questo e per la strada che ha deciso di seguire, alternativa a quella dell’Aquila, l’Emilia può essere d’esempio all’Italia. Noi non chiediamo più soldi del dovuto allo Stato, non vogliamo miracoli, non invochiamo assistenza. Ma non accetteremo che venga sottovalutata la portata dei danni del terremoto». «Se a un cittadino è caduto un pannello – chiarisce Errani – lo deve rimettere al suo posto senza pretendere di ridipingere tutta casa con i soldi pubblici. Ma quello che lo Stato è giusto che dia lo deve dare. E noi dimostreremo che possiamo fare come e meglio dei tedeschi o dei francesi, col cuore e la passione di questa terra, che è il nostro valore aggiunto. Dimostreremo che è possibile gestire emergenze come questa senza fare creste, senza comitati d’affari, gente che ride pensando al business del terremoto. La ricostruzione dovrà avvenire nella massima legalità. Niente gare al massimo ribasso, massima trasparenza, white list per tenere lontane le organizzazioni criminali. Tutti devono concorrere a costruire un clima per cui chi non ha le carte in regola qui non possa lavorare. Questa è la nostra sfida».
Oggi scade il primo bando per i prefabbricati scolastici. Le iniziative per far ripartire l’economia sono già avviate. «Stiamo lavorando con le banche per assicurare crediti alle imprese a un tasso inferiore all’1%, per 15 anni», spiega Errani. L’anello ancora mancante, il piano casa sarà pronto entro una settimana o due. «L’obiettivo è soluzioni provvisorie dignitose e avviare subito la ricostruzione per poter diventare, come lo è stato anni fa il Friuli, un esempio per l’Italia».
L’Unità 20.07.12
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L’Emilia resiste. Due mesi dopo c’è il Piano casa
Se volete scoprire dove la politica non è morta e in prima linea c’è l’anti casta; se volete verificare che non è vero che sono tutti uguali, che c’è governo e governo, amministrazione e amministrazione; se volete consolarvi con la capacità di noi italiani e del nostro malandato Paese di riscoprire e dare il meglio di sé nei momenti più difficili, dovete farvi un giro in questi giorni nei paesi del terremoto in Emilia. Oggi sono trascorsi due mesi dalla prima terribile scossa di magnitudo 5.9 nella pianura tra Bologna, Ferrara e Modena, considerata fino ad allora a rischio sismico pressochè nullo. Era la notte del 20 maggio. Nove giorni dopo, il 29, alle 9 di mattina, con gli studenti a scuola e gli adulti al lavoro, un’altra botta micidiale, magnitudo 5.8 ma più in superfice, quindi più devastante. Bilancio complessivo, 26 morti, centinaia di feriti, 17mila sfollati, capannoni industriali non costruiti per resistere ai terremoti crollati sulla testa degli operai, interi centri storici gravemente lesionati.
Oggi, lungo l’itinerario della distruzione che va da Crevalcore nel bolognese, a Cento, Sant’Agostino e Bondeno nel ferrarese, da Finale Emilia a Mirandola e Novi passando per San Felice sul Panaro e Cavezzo nel modenese, si vedono ancora i mucchi di macerie delle antiche rocche, delle case più vecchie, delle chiese e dei campanili crollati (90 le richieste di smaltimento solo nel modenese), le “zone rosse” dei centri storici transennati, la devastazione sparsa nelle campagne dove sono venuti giù i capannoni agricoli e quelli industriali. Soltanto in questi ultimi, nelle fabbriche della ceramica e del biomedicale, le gru e gli operai sono al lavoro per ricostruire i tetti e “legarli” ai travi a cui prima erano solo appoggiati, tanto che con le scosse si sono aperti come fossero costruzioni dei Lego facendo precipitare le coperture e causando il maggior numero di vittime. I cantieri della ricostruzione delle case, delle scuole e dei palazzi pubblici, invece, ancora non ci sono.
«È questo che manca – dice Fernando Ferioli, giovane sindaco di Finale, uno dei centri più devastati dal sisma –: Regione e Protezione civile hanno fatto i salti mortali, il governo ha risposto, il commissario straordinario Vasco Errani si sta muovendo molto bene, è una “belva”, ma le cose non vanno veloci come dovrebbero. Qui è venuto giù tutto: scuole, palestre, l’ospedale, il municipio, le case, i monumenti. È tutto da ricostruire, c’è un lavoro enorme da fare. Per questo vorrei che tutti i cantieri fossero già aperti. Ma i soldi ancora non si vedono. E ancora non c’è la certezza dei contributi per chi ha avuto i danni. E senza quella certezza i privati non cominciano i lavori».
L’ufficio di Ferioli da due mesi è sotto la chioma di un tiglio, all’interno della zona sportiva: un gazebo, qualche sedia, il tavolo e il cellulare che squilla in continuazione. Il telefono, così come l’auto, è personale, non del Comune. Cioè paga lui di tasca sua. Il Municipio si è spostato lì, accanto ai presìdi della Protezione ci- vile e alla tendopoli degli sfollati. Un Comune sotto i gazebo e i tigli dove però c’è e funziona tutto, dalla polizia municipale all’anagrafe. Lui, il primo cittadino, arriva alle 6 e mezzo del mattino, comincia i primi incontri e le prime riunioni un’ora dopo e va avanti così fino a notte, sabati e domeniche comprese. Per 1.900 euro al mese e 12 mensilità. Come lui fanno gli altri sindaci dei centri colpiti. Tutti ora hanno due emergenze in comune: come riaprire le scuole e dove sistemare gli sfollati. Per il Piano scuola si è già alla fase esecutiva. Entro Ferragosto dovrebbero aprire i cantieri per allestire a tempo di record i moduli e i prefabbricati che assicureranno la regolare apertura dell’anno scolastico ai 18mila studenti che hanno la scuola inagibile. La corsa contro il tempo è cominciata anche per le scuole meno danneggiate. Comuni e Province dovranno riparare direttamente 165 edifici entro metà settembre. Per quelli mediamente lesionati che riapriranno soltanto nel 2013, verrano presi in affitto dei moduli scolastici provvisori per 9 mesi, con un bando che prevede il montaggio e lo smontaggio delle strutture. Per la casa la situazione è più complicata. Le tendopoli della Protezione civile dovrebbero chiudere a settembre-ottobre. Ora si stanno lentamente svuotando. Ieri in Emilia-Romagna nelle tende c’erano ancora 6.974 persone, le più disperate: immigrati e famiglie disagiate soprattutto. Altre 2.500 sono ancora ospitate negli alberghi e nelle strutture coperte. Domani scadono le convenzioni e non è chiaro se e come verranno rinnovate. L’obiettivo è riportare i cittadini nelle loro case. «Non abbandoneremo nessuno per strada, ma niente soluzioni provvisorie che diventano definitive», dice la Regione.
Ma i due terzi delle case lesionate sono inagibili. Dove andranno i terremotati? A giorni Errani presenterà ai sindaci il Piano casa. La parola d’ordine è «ricostruzione subito». L’obiettivo del commissario è ottenere entro l’estate dal governo il riconoscimento dei danni e la garanzia dei contributi per chi li ha subiti, consentendo così ai privati, alle imprese e ai Comuni medesimi di aprire i cantieri. Nel frattempo si cercherà di incentivare le sistemazioni degli sfollati nelle case sfitte, anche requisendole se non si troverà l’accordo con i proprietari. Sicuramente verrà esteso il contributo all’autonoma sistemazione, 100 euro a persona per un massimo di 600 al mese per le famiglie che hanno la casa inagibile.
Finale Emilia è oggi una città che vive nei container, nella tendopoli e nelle ten- de private. Nei primi trovi la Posta, la Banca, gli uffici. Nelle seconde gli sfollati assistiti. Nelle ultime, disseminate nei parchi e nei giardini, chi ancora non dorme a casa perché ha paura della terra che continua a tremare. Le persone fuori casa sono ancora 4.000, le case inagibili circa 1.500. Il sindaco di Cento, Piero Lodi, invece, ne ha 1.800 di sfollati da sistemare. «Molti per ora si sono arrangiati da soli, da amici e parenti, senza chiedere aiuti pubblici – dice – ma una risposta andrà trovata anche per loro. Finora abbiamo definito cosa bisogna fare. Adesso bisogna passare al concreto, dalla teoria alla pratica». Stessi problemi per Alberto Silvestri, sindaco di San Felice sul Panaro dove le case inagibili sono poco meno di mille e le persone da sistemare circa 3.000. A Cavezzo il primo cittadino, Stefano Draghetti, deve dare una risposta abitativa a 1500-2000 persone. Problemi enormi. Ma nessuno si arrende. «Il nostro centro storico chiuso non lo chiamiamo più zona rossa ma zona di recupero», aggiunge il sindaco di Crevalcore, Claudio Broglia, «perchè vogliamo riprenderci ogni pezzettino di ciò che il terremoto ci ha rubato».
l’Unità 20.07.12
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“C’ERA UNA VOLTA IL TERREMOTO”, di SERGIO RIZZO
Due mesi fa il terremoto feriva l’Emilia e la Lombardia, sfiorando anche il Veneto. Le scosse sbriciolavano chiese e torri in piedi da centinaia d’anni, sfigurando città e paesaggi. La strage dei capannoni ci presentava un conto impressionante di vite perdute e metteva in ginocchio il cuore pulsante dell’Italia produttiva.
La prima cosa che oggi va sottolineata è la dignità con la quale i nostri fratelli emiliani e lombardi stanno affrontando la prova terribile alla quale sono sottoposti. La seconda, che come nessun’altra calamità di analoghe proporzioni questo terremoto è stato velocemente dimenticato.
Con qualche lodevole eccezione, l’attenzione su ciò che sta accadendo nelle zone colpite dal sisma si è affievolita progressivamente. Fino quasi a spegnersi. Ci sono frammenti importanti di quel dramma, l’ha già denunciato il Corriere, che sono stati relegati nella serie B mediatica. Per esempio, i terribili danni subiti dai Comuni del Mantovano.
La tensione, insomma, si è allentata. Anche se questo non significa che lo Stato si sia disinteressato del terremoto padano. I Vigili del Fuoco e la Protezione civile sono stati formidabili. E mettere sul tavolo due miliardi e mezzo, con l’aria che tira, non è stato proprio uno scherzo. Ma anche l’encomiabile decisione di pubblicare online tutti i dati sui contributi (e sui beneficiari) è senza precedenti. E le comunità locali? Ci sono Municipi con organici già al lumicino dove i pochi impiegati lavorano da due mesi diciotto ore al giorno. Mentre i capoluoghi di provincia si sono tenuti fuori dal cratere per non privare di risorse i piccoli centri più colpiti. Sapendo che il più difficile viene adesso e i problemi sono gli stessi di ogni terremoto. Le stime dei danni vanno a rilento perché si usa troppa carta e poca informatica. Le procedure burocratiche sono spesso complicate. I denari dell’emergenza, che non è esaurita, sono già finiti e quelli per la ricostruzione sicuramente non basteranno. Per i palazzi storici, poi, siamo in altissimo mare. E via di questo passo.
Il Corriere della Sera 20.07.12