Torna nella discussione pubblica la questione del riconoscimento giuridico da dare alle coppie omosessuali. A Milano il Consiglio comunale esamina la proposta di istituire un registro delle unioni civili: coppie di fatto da assimilare per certi versi alle coppie sposate. Nel Pd il tema ha dato luogo a vivaci contrapposizioni.nV’è dunque motivo per ritornare su un problema ineludibile, che attende ancora soluzione.
Nel diritto italiano e in quello europeo vi sono alcuni punti fermi. Fermi per il momento, poiché l’evoluzione che in materia si è svolta nel passato, è naturalmente destinata a continuare. Ma allo stato attuale si tratta di un punto di arrivo da cui non si può prescindere. La Corte Costituzionale ha affermato che il matrimonio su cui si fonda la famiglia, secondo l’articolo 29 della Costituzione, è quello previsto dal Codice Civile, come unione di persone di sesso diverso. Al tempo stesso la Corte ha ritenuto che il riconoscimento da parte della Repubblica dei diritti fondamentali dell’uomo e delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, secondo l’articolo 2 della Costituzione, riguarda anche l’unione omosessuale. Essa è «intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Ma non v’è omogeneità tra il matrimonio cui la Costituzione si richiama e l’unione omosessuale. Il riconoscimento giuridico di quest’ultima non richiede necessariamente l’equiparazione al matrimonio, come dimostra la varietà delle soluzioni adottate dai vari Paesi europei. Spetta quindi al Parlamento individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire, mediante il controllo di ragionevolezza delle soluzioni legislative, a tutela di specifiche situazioni, che richiedano un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale.
Nel diritto europeo dei diritti umani, cui l’Italia è vincolata, da un lato si afferma che la soluzione di ammettere i matrimoni omosessuali è possibile, ma non obbligatoria per gli Stati e, dall’altro però si dice che le unioni omosessuali stabili possono dare origine a una «vita familiare» al cui rispetto gli Stati sono tenuti (articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).
Vi è una forte sintonia e piena compatibilità tra il diritto costituzionale italiano e il diritto europeo in materia, sia nel riconoscere discrezionalità al legislatore nazionale, sia nel pretendere però che le unioni omosessuali stabili non siano lasciate nel limbo dell’irrilevante, del non riconosciuto dal diritto o addirittura del costretto alla clandestinità. Nelle leggi di molti Stati europei ed anche in quelle italiane, così come nelle decisioni dei giudici, si trovano diversi esempi in cui alle coppie di fatto vengono riconosciuti diritti sociali come quelli delle coppie sposate. Ne sono esempi il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla morte del compagno, il trasferimento del contratto di locazione e altri ancora. Quando poi alla coppia di fatto è riconosciuto un certo diritto, allora da quel diritto non può essere esclusa una coppia per il solo fatto di essere omosessuale, poiché si tratterebbe di discriminazione inammissibile.
Questo il quadro nel quale si colloca la richiesta di introdurre il matrimonio omosessuale. Richiesta ammissibile, ma senza risposta vincolata alla sola soluzione matrimoniale. E d’altra parte, anche per le coppie eterosessuali la tendenza generale sembra essere quella che allarga le possibilità di scelta, senza costringere all’alternativa tra il matrimonio o il nulla. Le numerose soluzioni europee di Pacs, Dico e simili stanno a dimostrare in che senso si evolvano le esigenze sociali. Ed è anche significativo che la scelta matrimoniale, unica disponibile, sia sempre meno adottata da coppie che pur hanno uno stabile progetto di vita comune.
L’introduzione del matrimonio omosessuale, pienamente equiparato a quello tra persone di sesso diverso, trova divisa la società italiana. E la divisione sarebbe anche più evidente quando, come sarebbe necessario, si affrontassero nel dettaglio i vari aspetti collegati al matrimonio. Basta pensare alla possibilità della adozione richiesta dalla coppia omosessuale (ancora in Italia non è ammessa l’adozione da parte del singolo, o da parte della coppia di fatto). E’ sbagliato ritenere che l’opposizione sia solo di parte cattolica e che su questa come su altre questioni che hanno a che fare con l’etica sociale sia possibile tracciare un confine netto, tra una comunità cattolica e una che cattolica non è o non si sente. Intanto è esperienza comune costatare quante differenze di atteggiamento e quante sfumature di opinione esistano tra gli italiani cattolici e poi – frutto della Storia – diverse istanze etiche e sociali sono condivise anche da chi non si richiama all’insegnamento della Chiesa. Sarebbe grave per la società italiana se esistessero due rigidi fronti opposti su temi di questo genere. Facilmente sarebbero campi l’un contro l’altro armato. Ma non è così, per fortuna. Né, in materia, corre una divisione secondo le categorie della destra e della sinistra politica, maggioranza governativa e opposizione. Si tratta di una realtà di cui occorre tener conto. Essa rende difficile arrivare a conclusioni legislative, ma ha il vantaggio di esprimere vitalità democratica e possibilità di evoluzione senza drammi e «guerre di religione». La pretesa di ottenere la soluzione maggiore, quella matrimoniale, in questo quadro sociale e politico, contrasta con la via della progressiva risposta alle esigenze legittime di riconoscimento e regolazione, che nessuna persona o gruppo ragionevole potrebbe respingere. Non si tratta di chiudere un discorso che per sua natura non può cristallizzarsi, ma di permettere una soluzione il più possibile condivisa, incapace di urtare chicchessia e idonea a dar riconoscimento ad una realtà sociale che ne ha diritto.
La Stampa 19.08.12