«Siamo dentro un percorso di guerra», sostiene Monti. E purtroppo non ha torto. L’Italia è un Paese “in trincea”. Fuori ci sono i falchi dell’Europa teutonica e finnica, e i mercati finanziari bombardano a colpi di spread. Dentro ci sono lacrime e sangue, che pesano su famiglie e imprese e sembrano non bastare mai. C’è una “exit strategy”, per tirarsi fuori da questo assedio permanente, interno e internazionale? Vittorio Grilli, neo-promosso ministro del Tesoro, qualche idea l’ha messa a fuoco. Il pranzo di ieri a Palazzo Chigi, insieme al presidente del Consiglio e al governatore della Banca d’Italia, serve a fare il punto. Più che una colazione di lavoro, un “gabinetto di guerra”, appunto, in vista delle prossime “battaglie”. L’Eurogruppo di venerdì prossimo, il vertice dei Capi di Stato e di governo del 25 luglio, e poi, soprattutto, il “generale agosto”, che dal crac Lehman in poi è sempre foriero di rovinosi disastri per l’economia globale.
Grilli arriva al tavolo con una convinzione. «Stiamo facendo tutto quello che possiamo e che dobbiamo, per fronteggiare l’emergenza. Non c’è un altro Paese, in Europa, che in otto mesi ha fatto manovre e riforme strutturali come quelle che abbiamo fatto noi. Dunque, il problema non è qui, ma è in Europa». La discussione tra il premier, il ministro e il governatore parte proprio da qui. L’Italia sta facendo «i compiti a casa, come e più degli altri». E se i mercati non ci credono, e se il differenziale tra i tassi di interesse dei nostri titoli di Stato e quelli dei titoli tedeschi continua a orbitare intorno a una pericolosa quota 480, questo dipende certamente dalla nostra «scarsa stabilità politica» e dalla «profonda incertezza intorno a quello che accadrà dopo il 2013», come lo stesso Monti ripete da tempo. Ma nell’analisi di Grilli, navigato frequentatore e coordinatore dei vertici di Bruxelles fin da prima di Tremonti a Via XX Settembre, l’attenzione si sposta soprattutto sulla percezione negativa che i mercati, ormai, hanno della moneta unica.
ELIMINARE LA PULCE
È quella che, al desco allestito nell’ufficio di Monti, i tre autorevoli commensali definiscono la «maledetta pulce» che, dallo sciagurato vertice di Deauville, si è infiltrata negli orecchi degli investitori internazionali: l’idea, cioè, che secondo le stesse cancellerie europee ad essere a rischio non sia questo o quel Paese, ma proprio l’euro in quanto tale. La sensazione che i governi, da allora, abbiano cominciato a prendere in considerazione l’ipotesi che la moneta unica si possa anche dissolvere. Questa è la “pulce” che da allora stuzzica gli appetiti degli speculatori, e tormenta i Paesi dell’Eurozona più deboli e dunque più esposti alla “dittatura dello spread”. Gli Stati, finora, non hanno fatto abbastanza per catturare e spazzare via la “pulce”. Anzi, Angela Merkel, per evidenti ragioni di campagna elettorale, ha fatto il contrario. «Così – è la considerazione condivisa al tavolo di Palazzo Chigi – l’euro stesso è diventata una currency risk».
L’Italia, per questo, paga «il prezzo più alto». Il conto che paghiamo alla roulette degli spread è salatissimo: quasi 90 miliardi all’anno di maggior onere sul debito pubblico. Monti è preoccupato, per questo. Ricorda bene che nel 1996-1998 Ciampi riuscì a tagliare il traguardo di Maastricht proprio grazie all’azzeramento del differenziale tra i rendimenti italiani e quelli tedeschi, e al relativo, enorme risparmio che questo comportò nella spesa per interessi. Grilli, su questo punto, appare un po’ meno preoccupato. «La struttura del nostro debito è profondamente mutata, oggi i tassi sui titoli a breve sono più bassi di quelli a lungo termine, e questo ne riduce il costo». E poi, come il ministro conferma al premier e al governatore, «finora non abbiamo avuto problemi di accesso ai mercati, le aste vanno bene e il deflusso degli investitori internazionali non è tale da destare allarmi». Su questo, Visco è invece più cauto. Già in occasione dell’assemblea annuale la Banca d’Italia aveva parlato di un deflusso complessivo di capitali dall’Italia pari a 274 miliardi. Ora, nel nuovo Bollettino, si parla di «circa 47 miliardi di disinvestimento nei primi quattro mesi, soprattutto dai titoli a medio-lungo termine».
LO SCUDO ANTI SPREAD
In queste condizioni, la pausa agostana diventa un’altra mina innescata. Con pochi scambi e tanta volatilità, basta un niente perché un debito sovrano salti per aria. Il premier non ci dorme la notte, Il ministro lo rassicura: «Certo, agosto è sempre un mese particolare, ma noi non dovremmo essere a rischio. Abbiamo solo un’asta dei Bot il 14, e sul breve non abbiamo mai avuto problemi…». Il grosso dei collocamenti arriverà in autunno: fino a fine 2012 il Tesoro dovrà piazzare
218 miliardi di euro. Ma per la ripresa l’auspicio di Monti, Grilli e Visco è che lo scenario europeo sia finalmente cambiato. «Quello che serve è una chiara e definitiva assunzione di responsabilità politica da parte dei governi dell’Eurozona, che devono manifestare con i fatti la volontà di considerare l’euro una conquista irreversibile, e dunque di accelerare l’integrazione, non solo fiscale, e di attivare tutti gli strumenti necessari a stabilizzare la moneta unica». Il governatore, in questa chiave, considera decisivo lo Scudo salva-spread, anche se aspetta di verificare quali passi concreti saranno compiuti, qui ed ora, per renderlo tecnicamente operativo.
Grilli concorda: «Dopo l’Eurogruppo della scorsa settimana è necessario mettere in condizioni i fondi Efsf e Esm di agire con risorse e regole precise ». L’impegno del governo, di qui ai prossimi due appuntamenti europei in agenda, è questo. Il messaggio che i governi, attraverso queste due istituzioni europee, devono far passare sui mercati è il seguente: «Noi siamo qui, con tutta la determinazione politica e la disponibilità finanziaria dell’Eurozona, pronti a difendere fino in fondo la moneta unica. Ora regolatevi voi…». Il “firewall”, se costruito così, funziona anche solo in virtù della sua deterrenza: «Basta sapere che il muro di fuoco c’è ed è pronto in ogni momento, per disarmare gli speculatori. E magari, a quel punto, a domare gli spread non serve nemmeno che i due fondi intervengano davvero a sostegno dei titoli di Stato». Questo è lo schema che Monti e Grilli condividono, e che Visco appoggia senza riserve.
NO ALLA TROJKA
Questo, per altro, è anche il motivo per cui, ancora una volta, il ministro del Tesoro ribadisce che «l’Italia non ha alcun bisogno di chiedere aiuti alle istituzioni sovranazionali». Le pressioni, anche in queste ore, continuano ad essere forti. Soprattutto dalla Germania, dall’Olanda e dalla Finlandia: si vuole che l’Italia chieda formalmente gli aiuti, per sottoporla alla “tutela” della Trojka che è già intervenuta in Grecia. «Ma a noi – come Grilli spiega ai suoi commensali – non servono fondi, né per 10 né per 100 miliardi. Quest’anno chiuderemo con un cospicuo avanzo primario, nel 2013 raggiungeremo l’obiettivo del pareggio di bilancio “strutturale”. La qualità e la quantità del nostro risanamento non è in discussione, ed è persino migliore di quello di altri Paesi. Per questo non abbiamo bisogno di “tutele” né di risorse dirette, ma solo di meccanismi che riportino lo spread a livelli congrui rispetto ai fondamentali, che ci consentano di portare avanti il fisiologico roll-over del nostro debito e di completare il cammino delle riforme».
La Germania, preda di una sua sottile “linea d’ombra” che la rende oscura al resto d’Europa, continua a esitare. Di questo Monti è consapevole, e nelle prossime settimane continuerà a sua volta la “moral suasion” sulla Merkel. Grilli farà lo stesso, cercando di far capire al suo omologo Schaeuble la seguente verità: non è affatto scontato che se un Paese come l’Italia esce dalla morsa dello spread, e smette di sentire la pressione dei mercati e della Ue, molla il rigore e cede immediatamente al solito “lassismo finanziario” da Club Med. Questo, l’Italia di Monti e di Grilli non lo farà comunque. L’unica, amara certezza che esce dal “gabinetto di guerra” è che «i sacrifici continueranno». La via maestra per curare il paziente senza ucciderlo è la “spending review”. Su questo Grilli vuole andare fino in fondo, per ricavare anche più di quanto è già stato preventivato quest’anno.
Per l’anno prossimo ha già detto che «servono almeno 6 miliardi ». Le tasse, purtroppo, non possono calare, Ma l’obiettivo «irrinunciabile» è scongiurare anche per l’intero 2013 l’aumento delle aliquote Iva. Non è molto, ma è già qualcosa. Anche sul piano politico. Come avverte Piero Giarda da giorni, «a giugno del prossimo anno non possiamo lasciare la stangata in eredità al nuovo governo appena uscito dalle urne».
Dal pranzo di Palazzo Chigi resta vuoto il piatto della crescita. E su questo insiste soprattutto il governatore: «Come possiamo reggere fino alla possibile “ripresina” di fine 2013, con un Pil che crolla del 2% e una disoccupazione che sale oltre l’11%?». Se l’orizzonte si sposta da Eurolandia all’Italia, purtroppo, a questa domanda non c’è ancora risposta. Magari qualcosa verrà fuori da Corrado Passera, nella prossima riunione del Comitato per il coordinamento della politica economica istituito da Monti. Ma dopo tanti annunci, nessuno si fa troppe
illusioni.
La Repubblica 18.07.12
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