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"Il Cavaliere ha perso la sua base sociale", di Piero Ignazi

Chissà se anche Berlusconi è andato in Engadina, a Sils-Maria, e stordito dalle vertiginose altezze delle montagne e dalla calma dei laghi, abbia lì concepito, novello Friedrich Nietzsche, il suo “eterno ritorno”. Certo possiamo immaginare che di fronte alle “due vie dell’eternità” abbia anch’egli borbottato, come in
Così parlò Zarathustra, che “tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”. Già, ma di circoli ne esistono di vari tipi, da quelli viziosi a quelli infernali. Berlusconi li comprende entrambi. Il vizio pubblico (quelli privati li tralasciamo) della sua politica di spending senza nessuna review ci ha fatto precipitare nel circolo infernale delle tasse e dell’austerità. Se non ci fosse stata l’allegra abolizione dell’Ici e della tracciabilità dei compensi professionali, nonché il via libera implicito all’evasione, oggi non dovremmo correre ai ripari sotto la guida accigliata del professor Monti.
Ma per il brianzolo Berlusconi vale sempre il napoletanissimo “scurdammoce ‘o passato”. È una filosofia di vita che l’ex presidente del Consiglio ha sempre praticato confidando nelle sue doti di prestidigitazione e nella disponibilità dell’opinione pubblica a cattolicamente transigere e perdonare. Senza quella sua “faccia da italiano in gita” non potrebbe ripresentarsi impunemente sulla scena con la scia di disastri che lo accompagna. Non solo. Per Berlusconi nulla è definitivo. Oltre che nietzschiano, il nostro è anche un adepto di Eraclito: tutto scorre e nulla rimane uguale a sé stesso. Di qui la sua invidiabile capacità di lasciarsi dietro le spalle rotture e rancori. Non ci stupiremmo se domani invitasse a cena Antonio Di Pietro. Forse solo con Prodi avrebbe qualche difficoltà: digerire due sconfitte sconfinerebbe dall’“umano” al “troppo umano”.
Premesso tutto ciò, il ritorno del Cavaliere non riporta indietro le lancette della politica. Per due ragioni: una strutturale e una politica. In primo luogo, la sua base sociale si è sbriciolata sotto i colpi della crisi. Quel mondo delle imprese e dei lavoratori autonomi, di cui Berlusconi si ritiene tuttora il rappresentante naturale, ha perso la centralità simbolica (e politica) di cui ha goduto negli ultimi vent’anni. Anche se il grosso degli elettori berlusconiani sono sempre stati le casalinghe e i pensionati (le ricerche Itanes su tutte le elezioni lo confermano ad abundantiam), l’immagine esterna del berlusconismo faceva aggio sul mondo dell’impresa e delle professioni. Ora, non solo quel mondo è sfrangiato e ridimensionato, ma non è più in sintonia con il Cavaliere. Certo, permangono pulsioni antitasse e insofferenze alle regole, però si è diffusa anche in quei ceti la convinzione che la via stretta per uscire dalla recessione sia quella indicata dal governo Monti. Del resto, è quanto ha sostenuto lo stesso Cavaliere l’altro giorno, pur contraddicendo quanto proclamato due settimane prima. Proprio questa alternanza di toni e tasti dimostra che Berlusconi non sa con quali carte giocare e che il suo ritorno serve solo per occupare una casella, per non rimanere escluso dal gioco vero, che si svolgerà l’anno prossimo. Comunque, il Cavaliere rimarrà nell’alveo montiano finché dal mazzo, o dalla manica, non spunta una carta di tutt’altro segno: quella antieuropea. Le dichiarazioni sull’uscita dall’euro e sul ritorno alla lira prefigurano un opzione politica ben diversa, tutta incardinata sul populismo euroscettico. Cavalcare il malcontento generalizzato verso l’imposizione fiscale usando strumentalmente l’Europa è nelle corde più intime di Berlusconi. Ma anche questa opzione sconta l’usura del tempo. Innanzitutto perché dopo aver guidato tre governi la sua aura anti-establishment è appannata. Inoltre perché la protesta e l’insofferenza verso “i poteri forti”, “il teatrino della politica” e, in parte,
l’Europa, è oggi veicolata da un attore ben più credibile, il Movimento 5 Stelle. La critica trasversale dei grillini insidia la rendita di posizione forzaleghista della polemica populista ed ha un interprete, Beppe Grillo, più efficace di Berlusconi.
La società e la politica non sono più quelle di vent’anni fa. Il berlusconismo sconta, oltre la perdita del riferimento simbolico al “mondo produttivo”, anche quella del monopolio (o dell’oligopolio, in comunione con la Lega) dell’antipolitica populista ed euroscettica. L’eterno ritorno del Cavaliere lo ha riportato alla “porta d’ingresso”, ma in un mondo che è ben diverso da quello degli anni Novanta.

La Repubblica 17.07.12