«Roba da matti». Pier Luigi Bersani scuote la testa mentre torna al suo posto e cerca un mezzo Toscano tra il disordine di fogli e cartelline che c’è sul tavolo della presidenza. L’Assemblea nazionale del Pd si è svolta fino a quel momento come aveva auspicato lui, che aveva aperto i lavori dicendo «siamo davanti a un Paese molto turbato, oggi parleremo dunque di Italia, di politica e di Pd in quanto utile a una buona politica per l’Italia» e poi discusso per sei ore, lui e tutti gli altri intervenuti, su come sostenere Monti lavorando in Parlamento per correggere le misure non condivise, di quale legge elettorale sostituire al Porcellum, del progetto con cui presentarsi alle prossime elezioni e del tipo di governo a cui bisognerà dar vita nella prossima legislatura.
Ma poi, negli ultimi minuti, dopo l’approvazione praticamente all’unanimità della relazione del segretario (un contrario e cinque astenuti), mentre molti delegati sono già pronti coi trolley in mano a scappare verso treni e aerei, scoppia il caos sugli ordini del giorno riguardanti matrimoni gay e data e regole delle primarie. Bersani lascia che Rosy Bindi e Marina Sereni, per la presidenza, gestiscano la situazione, ma il disordine alimentato da una ventina di delegati aumenta invece di diminuire e allora il leader del Pd decide di andare al microfono: «Attenzione, noi siamo il primo partito del Paese, dobbiamo dire con precisione all’Italia che cosa vogliamo, e il Paese non è fatto delle beghe nostre». Applausi dalla gran parte dei delegati, mentre Bersani torna a sedersi e cerca un Toscano da accendersi per calmarsi, ma ormai è già chiaro che mediaticamente questa polemica oscurerà tutto il resto della discussione.
RITORNI AGGHIACCIANTI
Ed è un peccato, per Bersani, che ribadendo quel «tocca a noi» coniato nelle ultime settimane, in questo appuntamento ha delineato non solo quale sarà la sua agenda di governo in caso di conquista di Palazzo Chigi (equità, riequilibrio fiscale, redistribuzione, lavoro, beni pubblici, conflitto di interessi) ma ha anche elencato agli eventuali alleati una serie di «impegni da sottoscrivere». E allora, dopo aver liquidato con una sola battuta l’annuncio di ricandidatura di Berlusconi («si vedono agghiaccianti ritorni»), dopo aver ribadito che «entro la fine dell’anno» si faranno primarie aperte («non possiamo decidere da soli i tempi e i modi, non sarà il congresso del Pd, si parlerà dell’Italia e del governo del Paese») in cui non vi sarà la «candidatura esclusiva» del segretario Pd (come statuto vorrebbe), dopo aver assicurato che il suo partito «non si arrende all’idea di tenerci il Porcellum» (e parla di premio di maggioranza dato o alla singola lista o alle liste collegate, senza esplicitamente chiudere alle preferenze caldeggiate dal Pd e da non escludere per Enrico Letta, Beppe Fioroni e altri), e dopo aver ribadito «lealtà» a Monti e invitato tutti ad evitare discussioni e ricerche di distinzioni «metafisiche, stucchevoli e fastidiosissime per la nostra gente» come quella sul grado di continuità con questo esecutivo (il Pd, sottolinea, non avrebbe fatto le stesse scelte sulla riforma delle pensioni, sull’Imu, sulla spending review, sulla Rai), Bersani detta le condizioni per l’alleanza di governo.
IMPEGNI DA SOTTOSCRIVERE
«Ad esempio quello di affidare alla responsabilità del candidato premier una composizione del governo snella, rinnovata, competente e credibile internazionalmente», dice per mettere subito in chiaro che non ci dovranno essere estenuanti trattative come per il governo dell’Unione. Né si dovranno rivedere spaccature in Parlamento, perché tra gli impegni da sottoscrivere Bersani mette anche «quello di consentire una cessione di sovranità e cioè di sciogliere controversie su atti rilevanti attraverso votazioni a maggioranza dei gruppi parlamentari». C’è lo spettro di divisioni sulle missioni militari all’estero, in caso di alleanza con Sel? E allora tra gli impegni ci dovrà essere «quello di rispettare gli obblighi internazionali». Qualcuno storce il naso all’ipotesi di un patto con l’Udc? Altro impegno: «Quello di avanzare una proposta comune verso tutte le forze democratiche ed europeiste disposte a contrastare la deriva berlusconiana e leghista ed ogni forma di regressione populista». Qualcuno (leggi Di Pietro) attacca gli alleati? Bisogna fin d’ora «mostrare nel campo progressista una civiltà di rapporti che renda davvero credibile agli occhi degli italiani la promessa di governabilità».
Il prossimo governo, per dirla con Massimo D’Alema, dovrà andare «oltre Monti» (perché non sarà condizionato dal peso della destra) ma «con Monti»: «C’è bisogno di una svolta profonda, ma sarà possibile in quanto ci presenteremo come continuatori dell’azione di risanamento avviata in questi mesi». Per Fioroni sarà necessario «coinvolgere tutti i moderati, non solo Casini ma anche i delusi da Berlusconi». Dice Letta che però la priorità ora è superare il Porcellum: «Altrimenti, qualsiasi cosa faremo, non riusciremo a rilegittimare la politica».
Si va avanti con gli interventi, poi la replica del segretario, e infine il caos sugli ordini del giorno. Prossimo appuntamento, dopo l’estate, quando si decideranno regole e data delle primarie.
L’Unità 15.07.12
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“Sugli odg non si vota. È scontro su primarie e matrimoni gay”, di Andrea Carugati
Il testo della commissione diritti passa a larga maggioranza
Poi le contestazioni per l’esclusione dei documenti di Concia e Civati. La scintilla si accende in un attimo, quando Rosy Bindi, presidente dell’assemblea Pd, mette ai voti il documento sui diritti, elaborato da una commissione da lei stessa presieduta in oltre un anno di lavoro, nel catino infuocato dell’Eur. «È un primo grande passo avanti», scandisce Bindi, ma dal lato destro della platea dove si sono accatastati, in piedi, i “ribelli laici”si alza in piedi un signore magrolino, Enrico Fusco, militante Arcigay e dirigente del Pd pugliese: «È falso, quel testo è una presa per il culo!». E ancora: «È un testo arcaico, irrispettoso, offensivo della dignità delle persone, si torna ai Dico, che non dicono nulla».
Dall’altro lato della platea partono dei «Buuu», i ribelli invece lo applaudono. Tra loro anche Aurelio Mancuso, Paola Concia, Pippo Civati, il professor Ignazio Marino. Tutti insoddisfatti per quella «sintesi» faticosamente trovata che esclude le nozze gay e «non dice parole chiare neppure sulle unioni civili». Fusco guadagna il palco, dove continua a tuonare: «Fini è più avanti di noi!». Il documento Bindi viene votato, 38 i contrari su alcune centinaia di presenti.
Ma la partita è appena cominciata. Si passa al voto sui due ordini del giorno pro nozze gay, uno di Concia e uno di Scalfarotto (la cui rivalità sui temi caldi resta intatta), entrambi con una quarantina di firme di sottoscrittori (c’è anche quella del braccio destro di Veltroni, Walter Verini). La presidenza dice che il voto è «precluso», visto che si è già votato sul testo Bindi. Riscoppia la bagarre, più forte di prima. Scalfarotto illustra il suo odg, parla degli altri Paesi europei e non, dove le coppie gay sono tutelate: «Perché da noi no? Il Paese è pronto».
Niente voto. In platea, maglia arancione, si agita il delegato di Domodossola Moreno Minacci. «Ma in questo partito non si vota maiii». Poi si avvicina a Bersani: «Se andate avanti così gli elettori ci spazzano via». Furioso anche Andrea Benedino, per anni responsabile dei diritti civili per i Ds, che restituisce la tessera al banco della presidenza. Lo stesso fanno Fusco e Aurelio Mancuso. «Ma di cosa avete paura?», si accalora la delegata Giulia Morini da Modena. «Il Pd è ormai un partito “precluso”», sorride amaro Civati. «In fondo è l’anniversario della Bastiglia», sussurra Marino.
«La democrazia pretende delle regole», si accalora dal palco la vicepresidente Marina Sereni. I volti dei big sono terrei. Bersani, Finocchiaro, Enrico Letta: tutti ammutoliti. David Sassoli si gratta la testa preoccupato. Tocca all’odg Concia, stessa sorte. D’Alema in platea è assorto in un origami: «Bisognava accogliere la mediazione di Cuperlo e Pollastrini», risponde. Già, perché la bagarre di ieri ha un antefatto. Nella notte una pattuglia di membri della commissione diritti, composta anche da Marino, Claudia Mancina e dal responsabile diritti della segreteria Ettore Martinelli aveva elaborato un testo «integrativo» a quello della Bindi, che a ora di pranzo è stato discusso in una tesissima riunione del comitato dietro le quinte. «Alcune sottolineature e integrazioni», spiegano i promotori. Ma basta una veloce lettura per capire che quel testo era molto più avanzato di quello originale. Parlava, ad esempio, di «stessi diritti per le coppie gay ed etero», di «riscrittura» della legge 40 sulla fecondazione assistita, di possibilità di rinuncia, tramite il testamento biologico, a nutrizione e idratazione. «C’erano tutti quei sì e quei no chiari che la nostra gente ci chiede», spiega Marino. La Bindi però non ha messo al voto i due testi congiunti, si è limitata a prendere quello nuovo «seriamente in considerazione», insieme ad altri, e a rinviare la discussione all’autunno, a un’apposita riunione della direzione dedicata a questi temi. Pare che a fare infuriare la presidente sia stata la firma di Martinelli, membro della segreteria, e dunque il sospetto che dietro ci fosse una mossa di Bersani. Alla fine Martinelli ha ritirato la firma.
In platea, intanto, è bagarre. Viene precluso anche un odg di Civati e Vassallo sulle primarie per il leader (con la scadenza di settembre per decidere data e regole) e altri due sulle primarie per i parlamentari e il tetto dei tre mandati. «Argomenti già votati con la relazione di Bersani», spiegano dalla presidenza. I ribelli si scatenano, urlano «voto, voto». Bersani sale sul palco: «Sentite un attimo… per la prima volta il Pd prende l’impegno per una regolamentazione giuridica delle unioni gay, e vedo gente che dice “vado via”?». E sulle primarie: «Ho detto che saranno aperte, ma non le convochiamo da soli. Noi siamo il primo partito e dobbiamo parlare chiaro, il Paese non è fatto delle nostre beghe!».
Alla fine viene approvato un documento della presidenza (con 20 tra contrari e astenuti) che impegna a fare primarie per i parlamentari e a rispettare il tetto di 15 anni di mandato. Ma il clima è quello che è. «Sono degli incapaci», si lascia scappare Franco Marini all’indirizzo della presidenza. «Che catastrofe», sussurra Nicola Latorre. Errani fa da paciere con Civati e Vassallo: «Ma davvero temete che Pierluigi non voglia le primarie?». La replica: «Non mi fido più».
Bindi non si scompone: «ma quale spaccatura, ci sono solo stati solo 38 contrari! Dai Dico abbiamo fatto passi avanti decisivi. Sul matrimonio gay non potevamo votare: il documento già approvato lo esclude, e anche la Costituzione». Le polemiche però non si esauriscono. «Un errore clamoroso non votare sui diritti», protesta Gozi. «Una gestione burocratica», dice Michele Meta. E Rosy risponde: «Abbiamo rispettato tutte le regole». Martinelli però precisa: «Bindi non faccia scherzi. L’accordo nel comitato diritti è stato chiaro: l’integrazione Cuperlo-Pollastrini è parte integrante del documento approvato, e Bersani è d’accordo. Daremo seguito all’impegno sul modello delle partnership inglesi».
L’Unità 15.07.12