Non stupisce la stizza con cui Pier Luigi Bersani ha commentato la notizia dell’incontro tra Mario Monti e una folta delegazione del Pdl, prontamente ricevuta a Palazzo Chigi per discutere «pesi e misure» all’interno della Rai. Poco dopo avere attribuito agli effetti della concertazione l’origine storica dei mali da cui oggi il governo tenterebbe faticosamente di guarirci, e nel pieno della pesante manovra di tagli ai servizi sociali chiamata «spending review» (tagli tutt’altro che concertati con sindacati ed enti locali), il presidente del Consiglio, evidentemente, trova il tempo di concertare proprio in quell’unico campo in cui davvero, da quarant’anni, si è concertato anche troppo: la tv.
Dalla «strana maggioranza», per usare l’efficace definizione con cui Monti ha battezzato l’eterogenea coalizione parlamentare che lo sostiene, era obiettivamente difficile aspettarsi luminose prove di coerenza, compattezza e coesione. E certo non può sorprendere che la televisione resti il «core business» del Pdl, l’unico argomento su cui non possa accettare mediazioni o concessioni di sorta, il solo tema dell’agenda di governo che stia davvero a cuore al partito del Cavaliere. Sorprende però che le pretese berlusconiane trovino così facilmente udienza presso Palazzo Chigi, e presso un presidente del Consiglio che della tutela del mercato e della concorrenza dalle interferenze della politica ha fatto forse uno dei principali impegni della sua carriera, sia come professore di economia sia come commissario europeo. Ma soprattutto colpisce la sequenza, dall’attacco alla migliore storia del centrosinistra – la collaborazione tra forze politiche e parti sociali con cui negli anni Novanta si salvò il Paese dalla bancarotta – alla reiterazione delle pagine peggiori delle cronache del centrodestra berlusconiano, con un intero partito ancora e sempre schierato a difesa degli interessi personali di un solo uomo, una sola azienda, un solo giro d’affari.
Non si può al tempo stesso condannare con tanta durezza le concessioni dei governi del passato alle parti sociali e accogliere con tutti gli onori a Palazzo Chigi la delegazione del partito-Mediaset che vuol discutere urgentemente degli equilibri ai vertici della Rai.
Ma soprattutto, se si vuole evitare che la «strana maggioranza» diventi addirittura surreale, occorre da parte di tutti grande senso di responsabilità e grande rispetto, innanzi tutto per la storia di questi anni e per la verità. Carlo Azeglio Ciampi è stato protagonista di uno sforzo collettivo e solidale del Paese per uscire dalla crisi dei primi anni Novanta che avrebbe ancora molto da insegnare, anche ai professori di oggi. I governi tecnici di quella fase, con tutti i loro limiti ed errori, si trovarono a fronteggiare difficoltà non minori di quelle di oggi. La riforma delle pensioni, tanto per fare un esempio, varata nel 1995 con la concertazione, fu un passaggio fondamentale nel percorso che permise all’Italia di avviare il risanamento ed entrare in Europa. La riforma delle pensioni della ministra Fornero, senza concertazione, vedremo quali risultati darà. Per ora ci ha dato un numero imprecisato di esodati rimasti scoperti, senza lavoro e senza pensione, abbandonati nell’angoscia. Con un po’ più di dialogo, se non proprio di concertazione, forse lo si sarebbe potuto evitare: le voci che avevano segnalato il problema per tempo, dai sindacati al Pd, non erano mancate. Ma il dogma ideologico secondo cui dar retta a partiti e sindacati è sempre un cedimento e una sconfitta delle riforme spiega forse più di ogni altra analisi perché quei semplici richiami al buon senso non siano stati ascoltati. C’è da augurarsi che prima o poi anche i professori più autorevoli possano imparare dai propri errori.
L’Unità 13.07.12