L’italia non può tornare al voto con il porcellum. Sarebbe un delitto. Non è in gioco solo la credibilità della politica: ormai a rischio è la tenuta stessa delle istituzioni democratiche. Giorgio Napolitano ha lanciato ieri un appello estremo al Parlamento affinché non vadano sprecati i prossimi mesi. Purtroppo molti giocano contro la riforma, anche se non hanno il coraggio, né la dignità di dirlo apertamente.
Sono contro la riforma quanti sanno di perdere le prossime elezioni, a cominciare da un pezzo consistente del Pdl: perché consentire una correzione del sistema e assicurare così solidità al prossimo governo? Meglio restare tra le macerie e scommettere sull’instabilità futura, magari sul prolungamento dell’emergenza e della grande coalizione… Sono contro la riforma i partiti personali che hanno bisogno delle liste bloccate per perpetuare il potere del capo. Sono contro la riforma i cultori, non pentiti, della Seconda Repubblica, quelli che pur di costruire un «presidenzialismo domestico» si sono inventati il maggioritario di coalizione, istituto senza uguali in Paesi dotati di Costituzione democratica.
Sono contro la riforma anche quelle parti dell’establishment, quei pezzi di classe dirigente che oscillano tra l’esaltazione di Monti (contro i partiti) e la simpatia verso Grillo (va bene pure un altro comico purché sinistra e centrosinistra stiano lontani dal governo): la sinistra per loro accettabile è solo quella che sostiene soluzioni oligarchiche.
Invece bisogna dire con chiarezza che nel 2013 l’Italia ha bisogno di una competizione elettorale vera, tra alternative plausibili, legittime, europee. E che alla competizione elettorale deve seguire un governo coerente, dotato degli strumenti politici per attuare un programma di lavoro. Il governo dei tecnici è un’eccezione. Chi pensa di mantenerlo in vita oltre la legislatura non vuole bene all’Italia perché la esporrebbe al drammatico rischio di un esito greco. Se gli elettori si trovassero di fronte, non già ad una competizione democratica ma ad un rito politico senza carico di responsabilità perché l’approdo tecnocratico sarebbe comunque inevitabile, il voto di protesta, l’antipolitica, il populismo verrebbero gonfiati a dismisura. Ci troveremmo anche noi partiti anti-euro, albe dorate, demagoghi di ogni risma. E l’effetto sarebbe catastrofico. Non solo per l’indebolimento dei partiti “europei”, ma anche perché la legittimazione di un eventuale governo d’emergenza sarebbe indebolita. Come oggi in Grecia.
Forse non è giusto definire ultimatum una lettera del presidente della Repubblica. Ma sul piano morale è un ultimatum. Il Capo dello Stato si è assunto una grande responsabilità nel momento in cui, in piena tempesta finanziaria e dopo i danni di Berlusconi, ha dato vita al governo Monti. Ora la riforma elettorale sarebbe il giusto coronamento di uno dei settennati più difficili della storia repubblicana. Uscire dal Porcellum vorrebbe dire vedere la luce oltre il tunnel della Seconda Repubblica.
Tutti devono essere disposti a rinunciare a qualcosa, pur di arrivare ad una legge elettorale europea, in cui la sera del voto sono chiari il nome del premier e la maggioranza che lo sosterrà per l’intera legislatura. Accade così in Germania, in Gran Bretagna, in Spagna, in Svezia, insomma in tutti i Paesi con un sistema parlamentare funzionante. Non c’è motivo perché non accada anche in Italia.
Le battaglie tra preferenze e collegi uninominali, tra collegio unico nazionale e circoscrizioni sub-regionali, tra premio al primo partito oppure ai partiti apparentati sono molto rilevanti. Anche perché alcune scelte rischiano di avere un costo in termini di credibilità futura del sistema. Tuttavia è quasi impossibile fare peggio del Porcellum: dunque, meglio precedere in ogni caso.
Ha ragione il Capo dello Stato: al punto in cui siamo, si presentino i testi in Parlamento e si voti. Le leggi elettorali dovrebbero essere approvate con larghe maggioranze, perché le regole valgono di tutti. Ma non si può accettare il veto di chi scommette sullo sfascio anche della prossima legislatura. Quantomeno in Parlamento ognuno si prenda le proprie responsabilità davanti al Paese.
Abbiamo un bisogno vitale di ritrovare la strada di una democrazia competitiva, trasparente. Dove i governo si assumono le responsabilità davanti agli elettori e gli elettori si assumono le responsabilità delle loro scelte. O nel 2013 torna la una democrazia che funziona, oppure l’Italia sarà condannata. E non ci saranno tecnici capaci di salvare la patria. Giorgio Squinzi ha detto anche queste cose nel famigerato confronto con Susanna Camusso di sabato scorso: non vorremmo che fosse la ragione di alcuni attacchi. Siamo invece convinti che, senza riforma elettorale, lo stesso governo Monti sarà ricordato per un fallimento.
L’Unità 10.07.12