La crisi morde e crea disoccupazione. Oltre le stime delle grandi agenzie internazionali e della Ue che stanno rivedendo gli scenari – che pure erano solo cautamente ottimisti – di una ripresa nel medio termine. La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è già una vera e propria emergenza in Grecia e Spagna. Ma con fenomeni preoccupanti anche per l´Italia. Nel nostro Paese è la cosiddetta disoccupazione di “lunga durata” che spiazza gli analisti: oltre il 50% di chi ha perso il lavoro oltre un anno fa non ne ha più trovato un altro nei dodici mesi successivi, quota che sale al 30% se si sposta l´asticella agli ultimi due anni.
È un dato in aumento che ci fa avvicinare pericolosamente alle dinamiche dei Paesi dell´Unione maggiormente colpiti dalla recessione. E che aggiunge un mattone al muro di pessimismo che ormai ha infiltrato i palazzi del governo dell´Ue. La Commissione ha già dovuto rinunciare all´obiettivo di un´occupazione al 75% entro il 2020, attualmente infatti la percentuale media nell´Ue è al 68% e anche l´obiettivo – già ridimensionato – del 72% sembra lontano. Tanto che alla Commissione si parla apertamente di una “lost decade”: cioè dieci anni persi per il mercato del lavoro, a partire dall´inizio della crisi globale nel 2007. Ci vorranno almeno altri cinque anni per farlo ripartire.
La disoccupazione ha scavato un solco tra ricchi e poveri. Le statistiche Ue relative al 2011 passano dal 2,5% di senza lavoro del Tirolo al 30,4% dell´Andalucia. Con dinamiche differenti da Paese a Paese. Per l´Italia l´Ocse ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita, con la prospettiva di un´economia con il segno meno nel 2012 e nel 2013. Il rischio di un impatto sul mondo del lavoro resta di conseguenza molto alto. Ad aprile, secondo i calcoli Ocse, la disoccupazione era all´11,1% nell´Eurozona e al 10,2% in Italia (già oltre il picco 2009/2010). La disoccupazione giovanile ha toccato in Italia il 36,2%, una quota alta, seppur lontana dal 50% di Spagna e Grecia. Ma l´Italia registra anche un 19,8% di giovani (tra i 15 e i 24 anni) che non hanno un lavoro, non lo cercano e risultano fuori dal processo formativo. In questo la Spagna sta meglio di noi (18%). Ma è la disoccupazione di lunga durata il tallone d´Achille italiano: è in aumento, era al 45% nel 2009, già sopra il 50% a fine 2011 (più di Spagna e Portogallo, quasi come la Grecia) e salirà ancora. Secondo gli ultimi dati Ocse, che saranno presentati oggi a Parigi nel Rapporto sull´occupazione dell´organizzazione, è ben oltre il 51% a un livello lievemente inferiore al 51,9% già stimato dall´Ue.
La situazione porta a «previsioni molto deboli – spiega Stefano Scarpetta, vicedirettore Ocse – in un quadro di pessimismo persistente. La disoccupazione aumenta, non solo per i giovani, e riconvertirsi è sempre più difficile».
La Repubblica 10.07.12
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“NELLA TERRA DEL NON-LAVORO UN GIOVANE SU DUE SCEGLIE LA FUGA”, di Roberto Mania
Dell´industria restano il cimitero di carcasse e un inquinamento da scorie di zinco. La riconversione è rimasta sulla carta L´eredità è un mega call center tra i 700 e gli 800 addetti. Un giovane su due a Crotone è disoccupato. Crotone è la terra del non-lavoro. È una Provincia condannata a morte dalla spending review e un territorio in decomposizione economica e sociale per tantissime altre ragioni. Crotone è la città dei record negativi: è in fondo alla classifica per qualità della vita, ha uno dei redditi pro capite più bassi della penisola, ha il 53,8 per cento dei giovani tra i quindici e i ventiquattro anni senza lavoro. Pure la ‘ndragheta, che tutto controlla, qui non è di prima qualità: è considerata “minore” dagli esperti. Da Crotone i giovani che possono scappano, gli altri pensano a come farlo. Anche se da qualche mese non c´è nemmeno un treno che porta direttamente al Nord. Soppressi. Per andarsene bisogna passare da Lamezia o Catanzaro, via pullman.
Entri a Crotone, dopo essere atterrato all´aeroporto Sant´Anna (un milione di euro di perdite l´anno) su uno dei pochissimi voli che ancora arrivano fin qui, e non vedi i giovani. «Sono al mare», ci dice Mimmo, pensionato statale, con due figli a carico (uno laureato, l´altro diplomato). «Oppure fanno i disoccupati a casa». Giovani invisibili, assistiti o sommersi.
Giusy ha 21 anni. È disoccupata. Figlia di un padroncino che ha lavorato con il suo camion nella zona torinese finché ha potuto. Sette anni fa decise di tornare a Crotone con la sua famiglia. Ora ha 50 anni e anche lui non ha lavoro. La mamma di Giusy è casalinga. Come vivete? «Con l´assegno di mia sorella – risponde – che è invalida al 100 per cento e l´indennità di accompagnamento che prende mia madre. Poi c´è mia nonna che ha la pensione di mio nonno». I giovani di Crotone sono disoccupati assistiti dalla catena del welfare familiare. Studiano e appena possono emigrano. Oltre il 60 per cento, stando ad alcune stime, se ne va dopo il diploma o la laurea. D´altra parte è da almeno un decennio che lo Svimez ha fotografato la nuova emigrazione sud-nord: seicentomila giovani tra l´inizio del nuovo secolo e il 2009. Non meno di 60 mila l´anno.
Qui c´era la classe operaia. Crotone era la Stalingrado del Sud. La zona industriale, ora, è un cimitero di carcasse, di sagome scomposte di vecchi capannoni. Negli anni si superarono anche i tremila addetti, compreso l´indotto. Ora restano gli scheletri arrugginiti dei grandi stabilimenti della chimica, Enichem, Montedison, di quelli metalmeccanici, come la Pertusola Sud che con le sue scorie di zinco, cadmio e nichel ha avvelenato la città, innalzato in maniera impressionate le morti per tumore (+ 10 per cento) anche tra i più giovani perché quei residui sono finiti nei pavimenti delle scuole. E ancora dell´industria delle piastrelle, la Kroton Gres, o della carta, la Cellulosa 2000. Piazzali desolatamente vuoti di prodotti e pieni solo di erbacce, rifiuti, detriti. Polvere. Lontano le pale mastodontiche del nuovo business dell´eolico al alta infiltrazione mafiosa. Di fronte i nuovi orribili centri commerciali, le cattedrali nel deserto del post-industriale. Perché qui c´è stata una deindustrializzazione violenta, radicale. La rivolta operaia di fine anni Ottanta finì sedata. E tradita. Crotone non è più operaia. E non ha più lavoro. Non c´è stata la promessa riconversione attraverso il contratto d´area. Si è visto un vero e proprio ratto dei fondi europei e di quelli della legge 488. L´eredità di quella stagione rimane un mega call center, l´Abramo Customer Care, tra i sette e gli ottocento addetti. Ci ha lavorato anche Giusy che ora è al terzo anno di economia aziendale a Catanzaro. Racconta che lavorava anche dieci ora al giorno al call center per 120-130 euro al mese frutto della percentuale per oggi nuovo contratto strappato al telefono. È un lavoro durissimo quello del contratto outbound (nella forma è un contratto a progetto) perché devi conquistarti nuovi clienti, farli emigrare da un gestore di telefonia a un altro. Solo chi ottiene ottimi risultati passa al contratto inbound che significa rispondere a un solo operatore, quasi una garanzia. Giusy, come tanti, ha gettato la spugna. Con il padre e il fidanzato hanno provato ad aprire una pizzeria al taglio. Si sono indebitati ma hanno retto pochissimi mesi e non per colpa del “pizzo” che non gli hanno mai chiesto. Ora vende torte via Facebook. Non è un lavoro. «Di sicuro me ne andrò al nord», dice.
Per capire la rete del non lavoro di Crotone bisogna passare anche qualche ora nell´ufficio di Armando Labonìa responsabile del mercato del lavoro alla Cgil. Qui arrivano i padri di Giusy e degli altri giovani disoccupati. La maggior parte è over quaranta. È una processione, ma nessuno – osserva Labonìa – viene per chiedere una tutela per un diritto violato. Qui si viene a chiedere l´apertura di una pratica per ottenere l´indennità di mobilità, a informarsi sulla propria indennità di disoccupazione, a capire perché la Regione Calabria paga con ritardi di sei e anche sette mesi gli assegni della cassa integrazione o mobilità in deroga. Ma questa è assistenza, non lavoro. Qui comincia la catena dell´ultima sopravvivenza che arriva fino ai più giovani.
Nunzio ha 23 anni, è nato a Milano da genitori crotonesi. Il padre era un metalmeccanico, a Crotone è diventato bidello precario. Poi si è separato dalla moglie. Nunzio ora vive con la mamma, casalinga, i nonni e la sorella. Si mantengono tutti e cinque con la pensione del nonno ex dipendente delle Poste. Il pubblico impiego è il perno della sussistenza meridionale. Nunzio ha fatto la scuola alberghiera. Prima della crisi si faceva la sua stagione estiva come cameriere: contratti a termine stagionali, un classico anche da queste parti. Ora i villaggi turistici di Isola di Capo Rizzuto, ma non solo, preferiscono i contratti job on call: ti chiamano intorno a metà settimana per dirti se c´è bisogno. «Meglio il nero – dice – , almeno arrivi a prendere anche mille euro. Ora con difficoltà sfioro i 600 euro al mese».
Nero, dunque. Che spiega tante cose, anche il fatto che a Crotone c´è un 20 per cento in più rispetto a Torino di immatricolazioni di auto di grossa cilindrata. Ci sono gruppi di giovani che raccolgono un po´ di soldi (almeno 500 euro) poi vanno a comprare vestiti con marchi contraffatti a Napoli nei capannoni della camorra. Tornano e li vendono nelle case private. C´è chi per trenta fino a cinquanta euro a morto è entrato a far parte di una squadra (bisogna essere più o meno della stessa stazza) per portare in spalla la bara nel corteo funebre. C´è chi si piazza con un “tre ruote” agli angoli delle strade e vende la frutta dopo averla comprata al mercato. C´è chi spaccia a Crotone, «città scassata», come scrisse Sandro Viola. Città del non lavoro
La Repubblica 10.07.12