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“Con la nostra ricerca cresce tutta l’economia”, di Cristina Galavotti

Che l’annuncio della scoperta del bosone di Higgs potesse essere il canto del cigno della fisica italiana, non l’avevamo messo in conto. Tutto avrebbe fatto pensare il contrario: l’enorme valore del contributo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) al Cern, provato dalla presenza di moltissimi italiani ai vertici del Laboratorio Europeo, la gioia senza ombre di centinaia di scienziati, e l’entusiasmo del grande pubblico. Eppure sabato, ad appena tre giorni dall’evento, è arrivato quella che suona come una condanna a morte. Tra tutti i grandi enti l’Infn è il più colpito dai tagli alla ricerca previsti dalla spending review. Nadia Pastrone, dell’Infn di Torino, coordinatrice dei fisici italiani impegnati in Cms (uno dei due esperimenti che hanno scoperto la nuova particella), non nasconde gli enormi problemi che si profilano.

Dopo l’entusiasmo del giorno dell’annuncio, come si sente oggi?

«Estremamente preoccupata, questa decisione è un vero disastro e non ce la saremmo aspettata. Per molti anni abbiamo cercato di essere un ente virtuoso e di mantenere al minimo le spese fisse, come gli stipendi, in modo da dedicare buona parte del nostro bilancio alla ricerca. Ora questi sforzi ci si ritorcono contro, perché siamo i più tagliati. Da qui alla fine del 2012 ci viene chiesto di risparmiare una cifra che è circa la metà di quanto spendiamo per esperimenti come quelli al Cern».

Quali sono le conseguenze?

«Dovremo ridurre drasticamente le nostre attività di ricerca, cosa non facile perché molti dei nostri studi si svolgono nell’ambito di collaborazioni internazionali nelle quali ci siamo impegnati anche economicamente Ad esempio l’entità del nostro contributo finanziario al Cern non è rinegoziabile».

Il Paese ci perde a tagliare sulla ricerca?

«A mio avviso perde moltissimo. La ricerca ha spesso delle ricadute economiche importanti, anche a breve termine. Noi ad esempio collaboriamo con molte imprese, commissionando loro strumenti. In questo modo “reinvestiamo” automaticamente parte dei fondi che riceviamo dallo Stato, e allo stesso tempo aiutiamo le imprese a crescere e ad acquisire nuove competenze che spesso le rendono più competitive a livello internazionale. Lo stesso fanno molti degli enti di ricerca che oggi vengono tagliati».

Capita mai che alcuni degli strumenti da voi sviluppati aiutino tutti a vivere meglio?

«Capita spessissimo. La ricerca del bosone di Higgs può sembrare futile in un momento di crisi, eppure da questo tipo di ricerca discendono ad esempio strumenti che aiutano la diagnostica medica come la Pet».

È la perdita di questo tipo di ricadute che la preoccupa di più?

«No, la cosa che più mi preoccupa è la perdita dei giovani. La ricerca di base è una scuola straordinaria: forma persone capaci di risolvere problemi complessi, che sanno affrontare le difficoltà e raccogliere le sfide. Moltissime di queste persone non scelgono poi di lavorare nella scienza, ma si riversano ovunque ci sia bisogno di menti versatili.

Per un Paese rappresentano una risorsa straordinaria. Per formare queste persone ci vuole continuità: non si può pensare che si possa interrompere una grande tradizione scientifica per uno o due anni e poi ritrovarla come prima. In queste condizioni i fili si spezzano».

Eppure in questo momento tutti sono in difficoltà, sarebbe stato pensabile che la ricerca si salvasse?

«Non sono i sacrifici a spaventarci, ma la modalità con cui vengono imposti. In condizioni difficilissime siamo pronti a fare delle scelte, per quanto dolorose, ad esempio a privilegiare degli esperimenti e magari a rinunciare a nuovi progetti che non sono ancora partiti.

Ma i tagli che colpiscono in modo improvviso sono catastrofici perché ci impediscono di formulare un piano per minimizzare il danno. Così siamo costretti a risparmiare in modo orizzontale, penalizzando le nostre eccellenze».

La Stampa 09.07.12