Per fortuna che c’è l’Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca, ci dicevamo fino a ieri. Ha appena lanciato un megaprogramma di valutazione degli enti di ricerca per poi presentare al governo una lista ragionata dei «buoni e dei cattivi». Un lavoraccio per valutatori e valutandi, ma tutti l’abbiamo fatto volentieri, soprattutto noi degli enti di ricerca. Finalmente, ci dicevamo, avremo un giudizio di merito basato su standards internazionali, in base al quale assegnare i fondi.
Noi dell’Istituto nazionale di Astrofisica ci sentivamo particolarmente contenti: qualunque graduatoria internazionale mette l’Inaf (e l’Italia) al quarto/quinto posto assoluto al mondo per produttività scientifica nel campo astrofisico. Ci eravamo, quindi, sottoposti volentieri al non piccolo sforzo della valutazione, contenti che l’Italia, finalmente, avesse anche lei una Agenzia ad hoc, come le grandi nazioni, da Usa a Francia. E pazienza se tutto il processo ha un suo costo: soldi ben spesi, ci dicevamo, pur di riuscire a far valere il merito, forse per la prima volta in Italia.
Invece, colpo di scena: senza aspettare i risultati della valutazione, sotto la pressione della spending review si comincia a parlare di tagli a tutti e perfino di soppressioni di enti di ricerca. Prima voci inquietanti escono dai corridoi del Mef. Poi il panico si scatena quando, nella bozza del decreto che entra in Consiglio dei ministri, c’è scritta esplicitamente, tra l’altro, la soppressione dell’Inaf attraverso un accorpamento all’Istituto nazionale di Fisica nucleare. Ci sono molte altre notizie negative di tagli (anche alla Agenzia spaziale italiana) e soppressioni di enti minori. Ma come, ci diciamo, così senza una consultazione con la comunità? E tutto lo sforzo (e costo) Anvur è buttato via? Perché se fossimo stati valutati come i peggiori si potrebbe capire, ma così… i risultati Anvur ci saranno, forse, a fine anno.
Per fortuna, la norma che riguarda Inaf e gli altri enti di ricerca in extremis viene «espunta» (splendido participio passato ministeriale), ma i tagli rimangono e, ci dicono, la guerra continua. Infatti, il problema si riproporrà, a breve. Frenetiche consultazioni tra gli enti, dove perfino i presidenti sanno usare l’algebra elementare: ma tu quanto spendi, ma se ci accorpano quanto risparmieremmo? Risultato dei nostri conti, garantito al limone: risparmio nullo o addirittura negativo, cioè aumento dei costi, per esempio per il problema sedi. Piuttosto, pensiamo in tanti, offriamoci per lavorare insieme per rifare qualcosa che abbia un senso più globale, più europeo per i maggiori enti di ricerca italiani.
Nel frattempo, tempeste di telefonate da tutta Europa, dove, nel caso di Inaf ma anche di altri enti, siamo alquanto ben posizionati: ma cos’è questa storia? Ma allora cosa sarà dei programmi che avete ottenuto? (per far tornare commesse in Italia, guarda un po’ che ingenuità…). Non so per gli altri, ma le mie risposte rassicuranti a me suonavano un po’ affannate.
Lasciatemi essere chiaro: se c’è una eccellenza assoluta della ricerca in Italia questa è l’astrofisica. Non meglio, ma certo non peggio delle altre branche della ricerca fondamentale. Non voglio buttarla in cifre, ma, anche passando per le armi i circa 1200 astrofisici italiani, il risparmio sarebbe trascurabile e perderemmo un posto al mondo e in Europa che tutti ci invidiano e che pochi in Italia hanno.
Giovanni Bignami, astrofisico, è attualmente presidente dell’Inaf
La Stampa 09.07.12