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"Lo spettro di una Fiat senza Mirafiori", di Gianni Del Vecchio

Tanti indizi portano a uno scenario molto temuto da torinesi e sindacati. «Torino sta diventando un teatro di posa di presentazioni di auto, che non vengono costruite qui». Lo sconsolato commento del responsabile nazionale auto della Fiom, Giorgio Airaudo, sintetizza bene il timore dei sindacati e dei politici torinesi sul futuro della Fiat e, in particolar modo, dello storico stabilimento di Mirafiori. Tanti indizi, infatti, portano a tratteggiare uno scenario che solo fino a qualche mese fa sembrava lunare, e cioè il Lingotto che lascia la sua fabbrica-simbolo. L’indizio più pesante è anche l’ultimo in ordine di tempo. Martedì sera l’ad del gruppo, Sergio Marchionne, ha detto chiaramente: «Se le attuali capacità di assorbimento in Europa resteranno uguali nei prossimi 24-36 mesi, c’è uno stabilimento di troppo in Italia». E dei quattro che attualmente lavorano, seppur a basso ritmo, quello che rischia di più è proprio Mirafiori.
A Pomigliano infatti è appena partita la produzione della Panda, anche se in tono minore rispetto ai programmi iniziali; da Melfi esce fuori la Punto, spina dorsale delle vendite Fiat in Italia ed Europa; a Cassino si producono Giulietta, Bravo e Delta, tre macchine che puntano soprattutto sull’export verso gli Usa ovvero su di una strategia che per Marchionne è la stella polare da seguire nei prossimi anni. Resta così appeso solo lo stabilimento torinese, che adesso si trova nel guado fra modelli in esaurimento (Musa e Idea) e nuovi investimenti ancora molto fumosi (due Suv che dovrebbero partire a fine 2013 e a metà 2014). Non a caso è la fabbrica con la cassa integrazione più estesa e con la maggiore capacità produttiva in eccesso.
I numeri sciorinati da Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom, sono impietosi: «Nel 2011 sono state prodotte 41mila Mito e 22mila tra Idea e Musa contro le 210mila vetture su sei modelli del 2007 ultimo anno senza cassa». E la situazione quest’anno peggiorerà, visto che nei primi sei mesi sono uscite dai cancelli solamente 25mila macchine. Un problema di sovrapproduzione che non lascia presagire nulla di buono. Non a caso lo stesso Marchionne, a domanda precisa sul futuro della fabbrica torinese, è stato vago: «Se avremo qualche cosa da dire su Mirafiori la diremo, per ora continuiamo a confermare gli investimenti».
Certo è che ci sono diversi altri segnali che finiscono per preoccupare più che rassicurare le istituzioni sabaude. Ad esempio, i sindacati hanno notato uno strano ritardo nella preparazione delle nuove linee di montaggio per gli ipotetici Suv da produrre a partire dall’anno prossimo. I lavori infatti sono in situazione di stand-by, e «la fase di allestimento delle linee non è ancora partita». A questo poi si deve aggiungere una naturale diffidenza nei confronti delle promesse dell’azienda, visto che non sarebbe la prima volta che produzioni previste per Mirafiori finiscano ad altri impianti: è successo per la Thema prima e per la 500L poi.
Infine, desta anche preoccupazione il fatto che Marchionne i suoi investimenti in altre parti del mondo continua a farli, nonostante la crisi del mercato europeo dell’auto. Il manager italo-canadese ha messo un miliardo di euro sugli stabilimenti serbi di Kragujevac, dove verrà costruita la nuova 500, e contemporaneamente non ha smesso di acquistare azioni Chrysler, direzione 100 per cento.

da Europa QUotidiano 05.07.12