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"Bilanci in attivo e didattica al top ecco i premi agli atenei virtuosi", di Corrado Zunino

Il Politecnico di Torino da tre anni è in testa alla gara dei finanziamenti pubblici. Più precisamente, nella gara di chi cresce nella “quota premio” dei finanziamenti, l’assegno che identifica le università virtuose (nella didattica, nella partecipazione a bandi di ricerca internazionali, nella capacità di attrarre studenti stranieri). I migliori ricevono di più. Dal “ranking istituzionale” quest’anno è uscita l’università di Trento, che l’anno scorso era seconda. A gennaio la “Unitn” ha scelto la strada del finanziamento a statuto speciale: ora prende i soldi dalla Provincia autonoma di Trento, che a sua volta in gran parte li prende dal ministero dell’Istruzione. È fuori concorso, quindi, ma è anche più ricca. È tornato invece in alto, secondo posto, il Politecnico di Milano. Ecco, per la quarta stagione alle singole università italiane sono stati assegnati premi in denaro e ogni anno questi bonus sono più consistenti del precedente. Nel 2009 erano il 7% per tutti (pari a 523,5 milioni), oggi, con gli atenei sottoposti a valutazione per volontà della legge Gelmini, questa quota di finanziamento è diventata in media il doppio: 910 milioni spalmati su 55 atenei, pari al 13% del finanziamento totale (è una media, appunto, perché ci sono università che arrivano al 21%).
Le risorse di Stato girate agli atenei continuano a scendere sotto la stretta delle
spending review annuali (6,9 miliardi nel 2008, 6,8 miliardi ancora nel 2011, 6,55 miliardi quest’anno), ma se le “quote fisse” precipitano le “quote premiali” sono crescenti. E adesso sostanziose. Il Politecnico di Torino, che tra l’altro è stato governato per sei anni da Francesco Profumo oggi ministro e che da tre cicli è leader dei “premi pubblici”, su 125 milioni ricevuti dal ministero 26 li ha presi per la capacità di attrarre insegnanti e studenti stranieri, capitali privati e dell’Unione europea. E per la qualità dei bilanci. Un premio pubblico, sì. La cifra rappresenta il 21 per cento del totale, un quinto.
È interessante notare come il ministero dell’Università e della ricerca stia provando a superare il concetto di “spesa storica” (il fabbisogno degli atenei, il costo fisso per i dipendenti) da sempre alla base dei finanziamenti pubblici e provi a offrire assegni in cambio del dinamismo dei rettori e dei loro consigli di facoltà. La gigantesca Università La Sapienza, che pure ha bisogno di oltre mezzo miliardo l’anno dallo Stato per andare avanti, nella quota premi è posizionata in basso: 36esima. E così la Federico II di Napoli, 41esima. Tra i grandi atenei restano nella parte alta della classifica l’Alma Mater di Bologna (quarta) e la Statale di Milano (settima).
Sono quindici i parametri, piuttosto rigidi in verità, a cui si ispira il ministero per definire i premi ai virtuosi. Nelle ultime stagioni quasi tutti gli atenei hanno migliorato le loro performance su molti punti, ma tre parametri sono qualificanti e su questi pochi riescono ad eccellere. L’internazionalizzazione delle facoltà (docenti e discenti) è il primo, poi c’è il fund raising, ovvero la capacità di attrarre investimenti privati e scovare bandi pubblici utili, infine la capacità di far chiudere agli iscritti il ciclo di studi nei tempi indicati. Il complesso sistema che regola i finanziamenti prevede, comunque, alcune perequazioni, ovvero risorse aggiuntive per gli atenei sottofinanziati. Chi fa buone performance non potrà essere premiato all’infinito, la “240” della Gelmini ha introdotto dei tetti, ma certo chi ottiene risorse private (non a caso primeggiano i politecnici che offrono per statuto consulenze e brevetti all’industria) viene premiato dal pubblico. Pagato due volte.

La Repubblica 03.07.12