Mettono tenerezza i cittadini che chiedono la rottamazione dell’euro e il ritorno alla vecchia moneta. Non rimpiangono la lira, ma il tempo della lira. Quando le famiglie risparmiavano ancora, l’economia cresceva poco ma cresceva, e la svalutazione gonfiava gli affari. Fare un mutuo costava il doppio di adesso e l’inflazione viaggiava a due cifre, però i cinesi stavano dietro la Muraglia, gli slavi ansimavano dietro il Muro e i brasiliani e gli indiani esportavano solo miseria. Il mondo era un posto relativamente piccolo e ordinato che coincideva con l’Occidente. Ma se oggi tornasse la lira, di quel tempo tornerebbe soltanto lei. Insieme con l’inflazione a due cifre. I cinesi non andrebbero certo indietro, e nemmeno i brasiliani. In compenso noi andremmo al supermercato con la carriola: non per infilarci la spesa ma i soldi necessari a comprarla. Una pila di cartaccia che della vecchia lira conserverebbe soltanto il nome. Secondo i calcoli più ottimistici perderemmo in un giorno il 30 per cento del valore di tutto ciò che ci resta, diventando la replica della Germania di Weimar che fece da culla al nazismo.
Mettono tenerezza i cittadini spaventati dal futuro, quando si aggrappano a un passato che non può tornare. Mentre provocano soltanto rabbia quei politici che queste cose le sanno benissimo, ma preferiscono lisciare il pelo del popolo impaurito invece di guardarlo negli occhi e dirgli parole adulte: che chi perde la strada deve resistere alla tentazione di tornare indietro, perché solo andando avanti troverà il sentiero che lo riporterà sulla strada perduta.
La Stampa 27.06.12