Quando alleno la squadra di basket di mia figlia Sasha mi sento un papà a tutti gli effetti, un papà e basta. Dirigo gli allenamenti, intercetto qualche rimbalzo, mi diverto un po’; ma soprattutto, vedo Sasha e le sue compagne crescere insieme, imparare il gioco di squadra e conquistare la fiducia in se stesse. Come ben sanno tutti i genitori, non c’è forse maggior soddisfazione che quella di vedere i propri figli scoprire la loro passione.
Si farebbe di tutto perché possano inseguire quell’ambizione finché lo desiderano. E’ questa forse la quintessenza dello spirito americano: la convinzione di poter arrivare fin dove i nostri talenti ce lo consentono.
Eppure, ancora non molto tempo fa per una giovane americana la pratica degli sport universitari era un sogno quasi irraggiungibile. Praticamente non c’erano finanziamenti per le squadre femminili, che il più delle volte dovevano accontentarsi di strutture scadenti e di uniformi di seconda mano.
Oggi le cose sono cambiate. Quarant’anni fa in ogni parte del Paese molte donne si mobilitarono contro chi negava loro l’accesso a questa o quella attività, e riuscirono a ottenere che il Congresso mettesse al bando le discriminazioni di genere nelle nostre scuole pubbliche. Il «Titolo IX» è il risultato dei loro sforzi. Questa settimana abbiamo celebrato il 40° anniversario di quella legge, che da quarant’anni assicura la parità agli alunni e studenti dei due sessi, all’interno e fuori dalle aule.
Ho ricordato questa pietra miliare il mese scorso, quando ho consegnato a Pat Summitt la «Presidential Medal of Freedom» (medaglia presidenziale della libertà). All’inizio della sua attività di allenatrice di basket, Pat lavava le uniformi delle ragazze nella lavatrice di casa sua e guidava personalmente il furgoncino della squadra quando c’era da giocare fuori sede. Una volta le ragazze dovettero accamparsi nella palestra delle avversarie, perché non c’era di che pagare un albergo. Eppure hanno tenuto la testa alta e la mente lucida nel gioco. In 38 anni di attività all’università del Tennessee Pat vinto ben otto campionati nazionali e più di mille partite: un record tra gli allenatori di squadre universitarie, sia maschili che femminili. Ma la cosa più importante è che tutte le ragazze provenienti dalle sue squadre si sono laureate, o stanno per laurearsi.
Oggi, in buon parte anche grazie alla determinazione e alla fiducia in se stesse conquistate attraverso la pratica di uno sport competitivo, così come all’etica del lavoro appresa nel gioco di squadra, le sportive hanno oltre tutto maggiori probabilità di ottenere risultati eccellenti anche negli studi. Di fatto, le ragazze che conseguono un titolo di studio universitario sono oggi più numerose dei loro colleghi maschi. E’ un grande risultato, non soltanto in relazione
a un dato tipo di sport o a una data università; e non è solo un successo per le donne, ma per l’America. Un risultato da ascrivere al «Titolo XI», alla legge sulla parità.
Non dimentichiamo che questa norma non si riferisce solo allo sport ma abolisce le discriminazioni in senso più generale, ad esempio per quanto riguarda l’insegnamento di determinate materie, come la matematica o le scienze; e prevede inoltre misure contro le aggressioni sessuali nei campus, nonché un adeguato finanziamento delle attività sportive. In altri termini, questa norma garantisce la parità tra i giovani dei due sessi in tutti i gli ambiti della formazione. È un trampolino per il successo. Ed è in parte grazie a leggi come questa che sono sempre più numerose le giovani laureate in grado di affermarsi in ogni campo, ad esempio nell’ingegneria o in varie discipline tecnologiche. Ho già detto, e ribadisco con convinzione che saranno loro a forgiare il futuro di questo Paese. Quanto più numerose saranno le donne capaci e determinate che entreranno nei nostri consigli d’amministrazione, nelle aule dei tribunali, negli ospedali, nelle sedi politiche e legislative, tanto maggiore sarà la forza degli Stati Uniti d’America.
Questo risultato, lo abbiamo fin d’ora davanti agli occhi. Non solo le donne siedono intorno ai tavoli, ma spesso dirigono le riunioni e stabiliscono le condizioni per arrivare al successo. È anche grazie al «Titolo IX» che oggi molte donne sono alla testa di progetti innovativi di ricerca scientifica, guidano aziende dinamiche, governano Stati, e naturalmente allenano squadre universitarie. Ed è grazie a loro che le ragazze si sentono dire sempre più raramente: «Questo, tu non lo puoi fare». E più numerose sono le voci che le esortano: «You can».
Siamo dunque a buon punto; ma c’è ancora molto spazio per andare avanti. Vi sono sempre nuove barriere da abbattere. Come presidente, farò la mia parte per preservare la forza e la vitalità al «Titolo IX» e far sì che le scuole rimangano porte aperte alle opportunità per tutti i giovani; e come padre, farò quanto occorre affinché in questo Paese chiunque si impegna, indipendentemente dal genere, dall’aspetto e dall’origine, possa arrivare al successo.
(Questo articolo del presidente americano, scritto per Newsweek, è stato diffuso dalla Casa Bianca. Traduzione di Elisabetta Horvat)
La Repubblica 24.06.12