La discriminazione ai danni degli operai iscritti alla Fiom – a cui la Fiat ha negato l’assunzione nella newco di pomigliano proprio perché iscritti alla fiom – era la più odiosa, tanto odiosa da essere intollerabile. Un vulnus ai principi della convivenza, oltre che a quelli della Costituzione. Che il giudice del lavoro (di Roma, anche se per rafforzare il nostro titolo lo abbiamo per un giorno «trasferito» a Pomigliano) ha finalmente sanato con una sentenza che, speriamo, una grande azienda come la Fiat non tenti ora di aggirare.
Di tante cose è giusto discutere. Su tante questioni ci si può dividere e scontrare. Ma in questo caso la violenza della strategia Fiat era in così palese contrasto con l’etica più elementare da pretendere un atto riparatore, preliminare ad ogni confronto sui piani industriali futuri, sulla strategia degli accordi separati, sui contenuti delle relazioni sindacali. E bene ha fatto la Fiom ad assumersi, in prima persona, la responsabilità di promuovere questa azione civile. Ha regalato a se stessa una vittoria importante: ma soprattutto ha consentito una vittoria dello Stato democratico e della libertà sindacale (che, come la libertà politica e religiosa, è parte inscindibile della libertà di un’intera comunità).
Stiamo parlando di fatti gravissimi, accaduti in questi mesi, non ai primi del Novecento. Nel vecchio stabilimento Fiat di Pomigliano lavoravano oltre cinquemila persone.
Poi la vecchia azienda ha cessato di vivere e la NewCo ha cominciato ad assumere dalla precedente platea per produrre la Nuova Panda: ad oggi sono state rientegrati 2093 operai. Con una caratteristica unificante: nessuno di questi è iscritto alla Fiom. Sì, l’iscrizione alla Fiom è stata il criterio saliente della selezione. L’ostracismo aziendale, ovviamente, ha via via ridotto il numero degli iscritti Fiom: erano 382 all’avvio della NewCo, in 175 hanno revocato l’iscrizione negli ultimi mesi sperando così di ottenere il lavoro. Con rigore assoluto gli iscritti al sindacato metalmeccanici della Cgil sono stati costantemente discriminati, mentre 20 dei 175 dimissionari sono stati poi ammessi alla firma del contratto di lavoro.
E, barbarie nella barbarie, la Fiat ha persino negato l’evidenza sostenendo che le esclusioni erano del tutto fortuite. L’Unità per prima, con un banale calcolo probabilistico affidato a un matematico, ha dimostrato che il caso era impossibile. O meglio, che era più probabile (di migliaia di volte) la vittoria al Superenalotto giocando solo sei numeri, oppure la fine della Terra per colpa di un meteorite nei prossimi vent’anni, piuttosto che la versione di Marchionne. E proprio della perizia di un illustre matematico il giudice si è avvalso per dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la tesi della Fiat sull’involontarietà dell’esclusione degli operai Fiom era un oltraggio al buon senso, una vergognosa menzogna.
Noi vogliamo che la Fiat si rafforzi. Nel mondo e in Italia. Noi speriamo che Marchionne mantenga la parola data a suo tempo. Anzi, vorremmo che il suo impegno aumentasse nell’ambito di un rafforzamento delle politiche industriali del Paese. Purtroppo i segnali sono negativi. In ogni caso, c’è una questione di dignità a cui non si può rinunciare: il rispetto dei principi costituzionali, la libertà dei singoli, il diritto di avere proprie opinioni e di esprimerle nelle formazioni sociali che compongono il tessuto vitale di una democrazia.
Anche della Fiom si può discutere tutto. Le scelte sindacali, le strategie politiche. Continua a sembrarci un errore la mancata firma degli accordi Fiat, dopo i referendum di Pomigliano e di Mirafiori. Il confronto tra i lavoratori deve continuare, rafforzando il più possibile i fattori di unità. Su un punto, tuttavia, non si può esitare: nella difesa della libertà e della dignità del singolo lavoratore. Non è pensabile che un Paese civile possa accettare un’esclusione come quella avvenuta a Pomigliano, e che purtroppo si sta replicando in altri stabilimenti del gruppo. Dopo i silenzi del governo Berlusconi, sarebbe il caso che il governo Monti prendesse la difesa della Costituzione. L’umiliazione di una famiglia ridotta sul lastrico per le idee del padre o della madre: ecco, questo non può avvenire in un Paese civile.
l’Unità 22.06.12